I Dispositivi di Protezione Individuale (DPI): una panoramica generale

Le norme circa il tema della sicurezza sul posto di lavoro per quanto riguarda tutti i lavoratori sono riportate all’interno del Decreto Legislativo n. 81 del 2008 e, più in particolare, all’interno dell’articolo 20 di questo stesso Decreto Legislativo.

Questo articolo 20 del Decreto Legislativo n. 81 del 2008 specifica che ogni lavoratore è tenuto a prendersi cura di se stesso, della propria salute e della propria sicurezza sul posto di lavoro, ma non solo: ogni lavoratore è anche tenuto ad avere cura delle altre persone presenti sul loro stesso posto di lavoro, della loro salute e della loro sicurezza. Per fare questo, è necessario che ciascun lavoratore si attenga alle istruzioni fornite dal proprio datore di lavoro e dal resto dell’equipe, istruzioni che vengono fornite durante i vari corsi di formazione sul tema della sicurezza sul lavoro.

Tra queste istruzioni, vi è anche l’obbligo di utilizzare i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) in maniera corretta: questi dispositivi devono essere messi a disposizione di tutti i lavoratori, i quali sono tenuti ad utilizzarli e a segnalare eventuali difetti dei dispositivi a loro assegnati (qualora questi difetti fossero presenti). Questi Dispositivi di Protezione Individuale (DPI), inoltre, non devono essere mai rimossi né modificati, soprattutto senza autorizzazione da parte di chi di dovere.

Nei due restanti paragrafi, chiariremo nel dettaglio che cosa sono questi Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) e ne forniremo la classificazione.

Che cosa sono i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI)

Ora che abbiamo visto qual è il Decreto Legislativo che regola le misure in ambito di sicurezza sul lavoro, capiamo insieme che cosa sono i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI). Con il termine Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) si fa riferimento a tutte le attrezzature e gli strumenti individuali che i lavoratori sono tenuti ad indossare e a tenere addosso per tutta la durata della loro attività lavorativa. Lo scopo di queste attrezzature e di questi strumenti individuali è quello di proteggere i lavoratori stessi dagli eventuali e molteplici rischi che corrono durante lo svolgimento della loro attività (rischi che sono stati analizzati e reperiti attraverso una attenta valutazione dei rischi).

Attraverso questi Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) si riesce anche a mettere a punto i diversi piani generali di sicurezza, studiati minuziosamente sulla base del tipo di attività lavorativa che i lavoratori sono tenuti a svolgere: per questo motivo, esistono diverse tipologie di Dispositivi di Protezione Individuale (DPI). In ogni caso, a prescindere dall’attività lavorativa, possiamo affermare che in linea generale i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) più frequentemente utilizzati sono i seguenti:

  • quelli per la protezione delle mani (guanti);
  • quelli per la protezione dei piedi (scarpe anti-infortunistiche);
  • quelli per la protezione della testa (caschi e cappelli);
  • quelli per la protezione del corpo (tute e divise protettive);
  • quelli per la protezione delle vie respiratorie (mascherine).

La classificazione dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI)

Prima di capire come vengono classificati i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI), va detto che questi ultimi, a prescindere dalla loro classificazione, devono rispettare degli specifici requisiti. In primo luogo, i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) devono essere adatti al tipo di rischio presente sul posto di lavoro; in secondo luogo, questi dispositivi devono considerare le esigenze del lavoratore; infine, proprio perché questo aspetto sia tenuto in considerazione, i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) devono poter essere personalizzati sulla base di queste stesse esigenze.

Veniamo ora alla classificazione dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI).

  • La prima categoria è quella dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) di progettazione semplice, i quali sono destinati alla salvaguardia della salute e del benessere del lavoratore e i quali sono finalizzati a prevenire eventuali infortuni di natura fisica e di lieve gravità. Ad esempio, questi dispositivi di progettazione semplice sono funzionali contro i rischi derivanti dal contatto o dagli urti con oggetti molto caldi, contro i rischi derivanti dagli agenti atmosferici, contro i rischi derivanti dai raggi solari, contro i rischi derivanti da eventuali vibrazioni e così via.
  • La seconda categoria è quella che comprende tutti i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) che non appartengono né alla prima né alla terza categoria.
  • La terza categoria è quella dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) di progettazione complessa, i quali sono sempre destinati alla salvaguardia della salute e del benessere del lavoratore, ma che sono progettati per prevenire rischi ben più gravi, come le lesioni a carattere permanente o addirittura la morte. Più nello specifico, questi dispositivi di progettazione complessa sono destinati a prevenire i rischi derivanti dai gas tossici o radioattivi, i rischi di natura chimica, i rischi di caduta da altezze molto elevate e molto altro ancora.

A prescindere dalla categoria di appartenenza, è necessario che tutti i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) vengano testati, al fine di verificarne la effettiva funzionalità e la effettiva efficacia contro i rischi che i lavoratori corrono quotidianamente.

Impiegati videoterminalisti: le norme sulla sicurezza che regolano questo lavoro

Quando si parla di norme sulla sicurezza sul posto di lavoro, spesso ci si focalizza su quelle che sono le attività  e i reparti più strettamente produttivi: il rischio per quanto riguarda queste attività e questi reparti è senza dubbio più alto, sia per probabilità sia per gravità, ma questo non deve permettere di tralasciare gli altri aspetti e gli altri reparti lavorativi.

Uno dei reparti e uno dei settori più trascurato sotto questo punto di vista, probabilmente perché ritenuto a basso rischio, è quello degli impiegati videoterminalisti. Non bisogna dimenticare, però, che anche per queste attività è previsto un certo rischio e le norme sulla sicurezza vanno adeguate e stabilite anche in questi settori, nonostante siano meno rischiosi: per questo motivo, nel corso degli anni, è stata operata una analisi dei comportamenti degli impiegati videoterminalisti sul posto di lavoro, focalizzando l’attenzione principalmente sulla loro postura e sui rischi per la salute dei lavoratori legati a quest’ultima.

Nei prossimi paragrafi, forniremo i dettagli di questa analisi e capiremo come è stata costruita la formazione degli impiegati videoterminalisti sulla base dei risultati di questa stessa analisi.

Gli audit: l’analisi dei comportamenti degli impiegati videoterminalisti

Come dicevamo, per poter gestire e organizzare al meglio le norme sulla sicurezza per gli impiegati videoterminalisti, è stato necessario procedere con una analisi dei loro comportamenti: questa analisi, però, doveva rispettare un metodo il quale era basato sull’immediatezza della registrazione dei risultati e il quale doveva avere un certo valore scientifico, in maniera tale da offrire una visione quanto più simile alla realtà di questa specifica attività lavorativa.

Per poter agire sull’aspetto della sicurezza sul lavoro delle varie attività svolte dagli impiegati videoterminalisti, questo metodo è stato suddiviso in tre determinati e diversi momenti:

  • l’audit comportamentale, che è eseguito dal personale tecnico (tra cui c’è anche il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, essenziale per il tema della sicurezza sul lavoro);
  • la valutazione dei dati (che, quindi, comprende anche la valutazione dei rischi);
  • gli incontri formativi da svolgere alla fine di questa analisi, al fine di formare e di informare gli impiegati videoterminalisti (anche con il supporto di personale medico, tra cui c’è anche il Medico Del Lavoro).

I risultati di questo audit e cioè di questa analisi hanno riportato dei dati molto interessanti e hanno mostrato una situazione piuttosto variegata rispetto ai principali aspetti del lavoro degli impiegati videoterminalisti, tra cui sottolineiamo la postura sulla sedia, la posizione della strumentazione da lavoro, la posizione delle braccia e delle mani durante l’attività lavorativa e i momenti di pausa tra un turno e l’altro. Ma quali sono stati gli aspetti più problematici?

  • Il primo aspetto critico riguarda sicuramente la posizione della mano, resa difficoltosa dall’utilizzo del mouse, e dalla posizione del braccio, il quale non sempre è risultato appoggiato al piano di lavoro come dovrebbe essere.
  • Anche la posizione degli occhi ha rivelato alcune criticità, così come la posizione delle gambe, che spesso è risultata completamente innaturale.
  • In ultimo, anche l’utilizzo del computer portatile ha rivelato alcuni aspetti critici, che potrebbero essere risolti utilizzando tastiera e video esterni da collegare ad un computer fisso, al fine di rendere più pratica e dinamica l’attività lavorativa.

Gli audit: la formazione successiva ai risultati

Come abbiamo detto in precedenza, l’ultimo passaggio del metodo di questa analisi ha previsto degli incontri formativi: la formazione degli impiegati videoterminalisti è stata costruita, ovviamente, sulla trasmissione di informazioni, ma anche sulla base di un dibattito su quali fossero stati i risultati di questo audit. Strutturare la formazione in questo modo ha permesso che ci fosse uno scambio tra i partecipanti dell’audit e ha permesso di generare delle discussioni costruttive, volte al miglioramento della postura e di tutti gli altri aspetti critici.

Grazie a questa forma di dibattito, è stato possibile invitare gli impiegati videoterminalisti ad adottare una sorta di auto-regolazione dei propri comportamenti, ma è stato possibile anche a lavorare come in una squadra, chiedendo l’appoggio dei colleghi nella verifica della propria postura: tutto questo ha condotto ad una condivisione formativa e costruttiva tra colleghi e ad una promozione delle importanti tematiche riguardanti la salute e la sicurezza sul posto di lavoro.

In ultimo, questa formazione è stata anche utile nel sottolineare come il corpo reagisca diversamente ai diversi input e alle diverse posizioni che è tenuto ad assumere e a come è possibile correggere queste posizioni sbagliate con qualche semplice e piccolo accorgimento, necessario al fine di evitare malattie professionali legate a questo reparto lavorativo, come ad esempio il tunnel carpale o il mal di schiena. Tra questi accorgimenti, per esempio, c’è il mantenimento di una vita attiva, anche durante l’attività lavorativa: per esempio, è necessario fare pause in cui alzarsi per sgranchire le gambe e per cambiare posizione, così come può essere utile non chiamare i colleghi, ma recarsi nel loro ufficio, in maniera tale da non restare sempre fermi nella stessa posizione per periodi di tempo troppo lunghi.

Qual è il ruolo del medico del lavoro

Il Medico del Lavoro all’interno di una azienda viene anche detto medico competente e si occupa di tutto quello che riguarda la sorveglianza sanitaria, un aspetto fondamentale per quanto riguarda la tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro.

Tutti conosciamo benissimo l’importanza di questi due temi, quello della salute e quello della sicurezza, sul luogo di lavoro: questi sono proprio i temi di cui si occupa il Medico del Lavoro, attraverso numerose attività da svolgere al fine di prevenire l’insorgere di malattie professionali o il verificarsi di infortuni a danno dei lavoratori; in altre parole, il Medico del Lavoro ha il compito di assicurarsi che il lavoro si svolga in un ambiente sano e salubre, che non comprometta lo stato di salute, di benessere e di sicurezza di ciascun lavoratore.

Ma, nello specifico, che cosa fa il Medico del Lavoro? In collaborazione con il datore di lavoro, il Medico del Lavoro si occupa delle seguenti attività.

  • Il Medico del Lavoro valuta l’idoneità di ogni lavoratore ad alcune specifiche mansioni, attraverso visite mediche periodiche.
  • Quando necessario, come dicevamo, il Medico del Lavoro si occupa della sorveglianza sanitaria all’interno dell’azienda.
  • Inoltre, il Medico del Lavoro ha il compito di occuparsi dei vari cambiamenti dell’attività lavorativa legati a incidenti, infortuni o malattie professionali.
  • In ultimo, il Medico del Lavoro informa i vari lavoratori per quanto riguarda il tema della salute e della sicurezza sul posto di lavoro.

Oltre ad avere precisi compiti da svolgere, il Medico del Lavoro ha anche determinati obbiettivi da portare a termine: tra questi, abbiamo senza dubbio la prevenzione delle malattie professionali e degli infortuni lavorativi e il mantenimento di un alto grado di benessere dei lavoratori, benessere che deve toccare tutti i livelli (quindi quello fisico, quello mentale e quello sociale).

Il Medico del Lavoro: da chi viene nominato e quando viene nominato

Il Medico del Lavoro non solo collabora con il datore di lavoro per tutto quello che concerne il tema della sicurezza sul lavoro, ma viene nominato proprio dallo stesso datore di lavoro. In quali casi? La nomina del Medico del Lavoro è necessaria e obbligatoria in tutti quei luoghi di lavoro in cui, anche attraverso una specifica valutazione dei rischi, sono presenti potenziali condizioni di pericolo: ecco qualche esempio.

  • Il Medico del Lavoro deve essere presente in tutte le aziende in cui è presente un certo rischio chimico, laddove ci fossero rischi legati all’esposizione di sostanze nocive come l’amianto, le radiazioni e così via oppure dove il rischio è di natura acustica, a causa di rumori e di vibrazioni.
  • Il Medico del Lavoro è altrettanto necessario quando le attività lavorative si svolgono su impianti ad alta tensione o ad aria compressa.
  • Anche nel caso di lavoro effettuato su turni notturni è essenziale che vi sia il Medico del Lavoro.
  • In ultimo, il Medico del Lavoro deve essere nominato anche nel caso in cui i lavoratori siano videoterminalisti, i quali trascorrono più di venti ore davanti al computer.

Il Medico del Lavoro: quando è necessario rivolgersi a questa figura professionale

Come abbiamo visto, il Medico del Lavoro è necessario in moltissimi ambienti di lavoro, a seconda dei risultati della valutazione dei rischi. Ma allora quando è il caso di rivolgersi a questa figura professionale? Esistono diversi casi, che analizzeremo proprio in questo paragrafo.

Occorre rivolgersi al Medico del Lavoro prima di iniziare a svolgere un determinato lavoro, al fine di eseguire una visita di controllo preventivo, utile a verificare l’idoneità del lavoratore a quella specifica mansione; le visite di cui si occupa il Medico del Lavoro, però, non sono solo visite preventive, ma sono anche quelle di controllo periodico, attraverso cui è possibile valutare lo stato di salute dei lavoratori anche durante lo svolgimento di quella specifica mansione nel corso del tempo; inoltre, c’è bisogno di rivolgersi al Medico del Lavoro ogni qualvolta un lavoratore è assegnato ad una nuova mansione, per verificarne nuovamente l’idoneità attraverso un controllo preventivo.

Queste, però, non sono le sole visite necessarie per i lavoratori: ecco un elenco delle altre visite di cui può occuparsi il Medico del Lavoro.

  • Anche a fine rapporto lavorativo è necessario valutare lo stato di salute del lavoratore, specie se è stato esposto a rischi (come l’esposizione a sostanze chimiche, a rumori, all’amianto e via dicendo).
  • Inoltre, il lavoratore può sottoporsi ad una visita di controllo in qualunque caso ne senta la necessità o il bisogno.
  • In ultimo, è necessario rivolgersi al Medico del Lavoro per una visita di controllo anche dopo un periodo di malattia, che superi i sessanta giorni consecutivi: in casi come questo, la visita di controllo ha il compito di verificare il pieno recupero delle capacità di completare le mansioni e i compiti assegnati al lavoratore.

Differenze tra smart working e lavoro agile

Specialmente dopo la pandemia del Covid-19, per moltissimi settori è stata definita e integrata la modalità di lavoro da remoto: nonostante, però, siano ormai più di due anni che sentiamo parlare di questa specifica modalità di lavoro, c’è ancora molta confusione su questo argomento.

Telelavoro, work form home, lavoro flessibile, lavoro agile e smart working: queste sono tutte le diverse tipologie di lavoro da remoto, tra i quali i limiti e le differenze non sembrano essere ben definite sia per i datori di lavoro sia per i lavoratori stessi. Sembra erroneamente, infatti, che questi termini siano tra di loro inter-scambiabili, quasi sinonimi: in realtà non è così; esistono moltissime differenze, che determinano le diversità tra questi lavori da remoto.

In questo articolo, concentreremo la nostra attenzione su due di queste tipologie, cioè lo smart working e il lavoro agile, che sono sempre più diffusi tra i lavoratori, che per molto tempo hanno desiderato (specie quando possibile nel proprio settore) di lavorare da casa: avere piena conoscenza del significato di questi termini, quindi, è utile per i lavoratori, ma anche per chi si occupa di stilare i contratti e di decidere la modalità di lavoro da somministrare (compito che, solitamente, spetta alle risorse umane).

Ciò che sappiamo fino ad ora, quindi, è che lo smart working e il lavoro agile sono sempre più diffuse, ma quali sono le differenze tra queste due tipologie di modalità di lavoro da remoto? Scopriamolo nei seguenti paragrafi, in cui attraverso la spiegazione di queste due modalità capiremo quali sono queste differenze.

Che cosa è lo smart working: definizione e caratteristiche

Iniziamo, quindi, dalla definizione e dalle caratteristiche dello smart working.

La nascita dello smart working è da collocare negli Stati Uniti d’America; solamente dopo qualche anno, questa modalità di lavoro si è diffusa anche in Europa, nel nostro continente. Essendo nato in America, il termine smart working è ovviamente inglese, ma può essere tradotto in italiano con l’espressione lavoro intelligente: ma che cosa significa più nello specifico?

Lo smart working può essere definito come quella modalità di lavoro da remoto per cui non è necessaria la presenza fisica del lavoratore, che può svolgere la sua mansione da qualunque luogo preferisca: da un ufficio, dalla propria casa, da un laboratorio di co-working, da una biblioteca e così via. Lo stesso vale per gli orari di lavoro, che sono molto più flessibili e che dipendono dalle preferenze del lavoratore. C’è, però, un aspetto essenziale da non trascurare quando si parla di smart working: il lavoratore deve avere a disposizione tutta la strumentazione necessaria per poter svolgere il suo lavoro da dove desidera.

Oltre ad offrire numerosi vantaggi per i lavoratori, lo smart working rappresenta anche una grande opportunità per i datori di lavoro, i quali (come abbiamo visto durante la pandemia) in caso di emergenza non sono costretti ad interrompere completamente l’attività dell’azienda, ma possono sfruttare lo smart working per fare in modo di continuare a produrre. Tutto questo deve essere fatto senza tralasciare, però, il tema della sicurezza sul lavoro, importantissimo anche per chi lavora da remoto e per cui vengono stilate nuove analisi di valutazione dei rischi e nuovi piani generali di sicurezza.

Che cosa è il lavoro agile: definizione e caratteristiche

Una volta determinato il significato e le caratteristiche dello smart working, passiamo ad analizzare la definizione e le caratteristiche del lavoro agile. In realtà, secondo il MIUR (acronimo che significa Ministero dell’Istruzione) non esiste alcuna differenza tra smart working e lavoro agile: pare, semplicemente, che lavoro agile sia un sinonimo di smart working.

Il lavoro agile, quindi, ha le stesse caratteristiche dello smart working, le quali possono essere determinate principalmente da un notevole livello di flessibilità, specialmente per quanto riguarda i seguenti aspetti:

  • flessibilità per quanto riguarda il luogo di lavoro dove svolgere la propria attività;
  • flessibilità per quanto riguarda gli orari di lavoro, che possono essere stabiliti dal lavoratore stesso;
  • flessibilità per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro, da stabilire in piena autonomia.

Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, quello dell’organizzazione del lavoro, esistono tre livelli di flessibilità, che determinano tre diverse tipologie di lavoro agile.

  • Lavoro agile autonomo, che è la tipologia più flessibile tra le tre, in quanto consente al lavoratore di organizzarsi in maniera completamente autonoma.
  • Lavoro agile para-subordinato, che è meno flessibile rispetto a quello autonomo, in quanto il lavoratore viene coordinato dal committente di lavoro.
  • Lavoro agile subordinato, che è la tipologia meno flessibile, in quanto il lavoratore è completamente sotto la direzione del datore di lavoro.

Un aspetto che non abbiamo ancora sottolineato del lavoro agile è l’accordo che deve esserci tra il datore di lavoro e il lavoratore: infatti, il lavoro agile deve permettere al lavoratore di avere a disposizione una modalità lavorativa che concili la propria vita privata con quella lavorativa, che possa incrementare la propria produttività (aspetto che rappresenta un vantaggio anche per il datore di lavoro) e che possa aumentare e favorire la propria crescita professionale.

Come sono collegati il tema della questione di genere e il tema della sicurezza sul lavoro

Il tema della sicurezza sul lavoro è sicuramente uno dei più importanti per quanto riguarda il settore lavorativo e tutti gli ambienti lavorativi, di qualunque tipologia essi siano: è necessario che l’attenzione venga catalizzata ogni giorno di più su questo fondamentale argomento, che comprende aspetti essenziali come per esempio il ruolo delle nuove tecnologie, l’importanza dei dispositivi di protezione per i lavoratori, l’inquinamento che segue dalle svariate scelte prese in questo settore e via dicendo.

Un aspetto su cui, fino ad ora, è stata dedicata troppa poca attenzione, però, è il collegamento tra il tema della sicurezza sul lavoro e il tema della questione di genere: questo collegamento non è certo da trascurare, anche sulla base dell’analisi dei dati INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) che sono emersi, i quali dimostrano che questo collegamento esiste e necessita di essere studiato e affrontato.

Ci siamo da poco lasciati alle spalle il 25 novembre, la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, e anche per questo motivo ci è sembrato necessario ed opportuno affrontare questa spinosa ma fondamentale tematica, dal momento che il luogo di lavoro non è sempre un posto sicuro, sia dal punto di vista della sicurezza e della salute fisica sia dal punto di vista del benessere psicologico e mentale, specialmente per le donne lavoratrici. Analizziamo, dunque, nei prossimi paragrafi, il rapporto che c’è tra le donne lavoratrici e gli infortuni sul posto di lavoro e quello che c’è tra le donne lavoratrici e l’insorgere di malattie professionali.

Donne lavoratrici e infortuni

I dati INAIL a cui facevamo riferimento poco fa sul tema della sicurezza sul lavoro riportano dei risultati molto chiari: sembrerebbe, infatti, che le donne lavoratrici subiscano più infortuni rispetto ai lavoratori uomini. Ulteriori dati, inoltre, farebbero emergere che le lavoratrici subiscono maggiormente questi infortuni in determinati settori lavorativi in cui sono principalmente più impiegate, tra cui abbiamo:

  • i settori domestici e familiari, all’interno del quale le donne lavoratrici prestano servizio in qualità di colf e badanti;
  • il settore manifatturiero, all’interno del quale le donne lavoratrici operano tendenzialmente nel confezionamento degli articoli di abbigliamento;
  • il settore commerciale e il settore dell’amministrazione pubblica, in cui vi è una maggioranza di donne lavoratrici;
  • il settore della assistenza sociale e il settore della sanità.

Proprio rispetto a quest’ultimo settore nominato, quello della sanità, si può affermare che nel corso della pandemia di Covid-19, le donne lavoratrici non solo sono state quelle più colpite a livello economico, ma anche a livello di contagi: si stima, infatti, che sulle 300mila denunce di infortunio legate a questo virus (probabilmente dovuti ad una errata valutazione dei rischi e a dei conseguentemente errati piani generali di sicurezza), circa il 68% fossero denunce di donne lavoratrici. Questo dato è facilmente spiegabile ed è sicuramente dovuto al fatto che vi sia una prevalenza di donne lavoratrici nei settori che hanno gravitato intorno al Covid-19, tra cui abbiamo sicuramente quello socio-sanitario.

Sempre per quanto riguarda gli infortuni subiti dalle donne lavoratrici, bisogna prestare attenzione anche a quelli causati da aggressioni sul lavoro, che riguardano il 5% delle denunce di infortunio: questa percentuale, però, potrebbe non essere totalmente veritiera, dal momento che non tutte le donne lavoratrici denunciano questo tipo di aggressioni. Anche in questo caso, gli infortuni sono abbastanza settoriali e riguardano principalmente i settori sanitari e assistenziali, che vengono seguiti dal settore dell’insegnamento, da quello delle impiegate postali fino ad arrivare al settore delle pulizie professionali.

In ultimo, a prescindere dal settore lavorativo, invece, bisogna che l’attenzione venga concentrata anche sui cosiddetti incidenti in itinere, ovvero quelli che si verificano nel tragitto tra casa e posto di lavoro e viceversa: i dati rispetto a questi incidenti ci presentano una percentuale femminile del 23%, contro una percentuale maschile del 12%. Nonostante, infatti, le donne siano tendenzialmente più prudenti alla guida rispetto agli uomini, questa maggiore percentuale può essere spiegata dal sovraccarico che le donne vivono nella propria vita, dovuto all’intreccio della vita lavorativa con quella personale e familiare.

Donne lavoratrici e malattie professionali

Dal punto di vista delle malattie professionali, quelle denunciate dalle donne lavoratrici rappresentano circa la metà di quelle denunciate dagli uomini lavoratori: a fare eccezione, però, sono i disturbi psichici e comportamentali. Questi ultimi, infatti, dal punto di vista delle denunce fatte da donne lavoratrici superano (anche se di molto poco) quelle degli uomini lavoratori.

La maggior parte delle malattie professionali denunciate dalle donne lavoratrici, inoltre, sono quelle legate all’apparato muscolo-scheletrico, che si aggirano intorno al 72% e sono collegate principalmente al settore manifatturiero. Un altro dato importante, riguarda l’età media in cui le donne lavoratrici e gli uomini lavoratori denunciano le loro malattie professionali, che coincidono nei 54 anni per le donne e nei 57 anni per gli uomini.

Stress da lavoro correlato: cosa è e da cosa deriva

Lo stress da lavoro correlato è una problematica relativa ai dipendenti e al lavoro, che è in costante e determinante crescita. Ma qual è la definizione dello stress da lavoro correlato? Una definizione di questa problematica ce la dà l’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro), il quale definisce lo stress da lavoro correlato come uno stress legato alle attività lavorative, che si manifesta quando le capacità del lavoratore non sono commisurate all’ambiente lavorativo (o almeno questa è la percezione del lavoratore).

La definizione che l’INAIL ha dato dello stress da lavoro correlato causa, però, qualche problematicità: infatti, sembra che all’interno dello stress da lavoro correlato vengano considerate solamente quelle patologie dovute a fattori di costrittività lavorativa, tagliando fuori tutte quelle derivanti dalle dinamiche relazionali che si instaurano con i datori di lavoro o con i colleghi, le quali sono considerate più comuni e non strettamente connesse con il lavoro.

Inoltre, lo stress da lavoro correlato non rientra nelle categorie delle malattie professionali o delle malattie correlate al lavoro, ma può comunque causare diversi problemi sia di salute psichica sia di salute fisica, specialmente quando dura nel tempo.

Ma quali sono le cause e i sintomi dello stress da lavoro correlato? E come si può eseguire una corretta valutazione del rischio in questo senso? Scopriamolo nei prossimi paragrafi.

Lo stress da lavoro correlato: quali sono le cause e i sintomi

Lo stress da lavoro correlato, specialmente negli ultimi anni, ha destato l’interesse di molti studiosi, soprattutto di quelli esperti nell’ambito della salute e della sicurezza sul lavoro. Attraverso gli studi condotti da questi esperti, si è giunti a comprendere quali possano essere le eventuali cause e gli eventuali sintomi del disturbo dello stress da lavoro correlato.

Iniziamo ad elencare quali potrebbero essere le cause responsabili dello sviluppo dello stress da lavoro correlato. Queste cause, più specificatamente, possono essere divise in due grandi categorie: i fattori relativi al contesto lavorativo e i fattori relativi al contenuto lavorativo.

fattori relativi al contesto lavorativo sono tutti quei fattori collegati alla relazione che l’individuo lavoratore ha con l’organizzazione del lavoro e sono i seguenti:

  • le relazioni interpersonali sul posto di lavoro, che possono tradursi in isolamento, difficoltà a relazionarsi con il proprio superiore, mancanza di rapporti e di supporto sociali, conflitti tra colleghi e così via;
  • la possibilità di una crescita di carriera, che spesso si definisce come una mancanza di evoluzione nella carriera, una mancanza di retribuzione adeguata e una sensazione di insicurezza del proprio impiego;
  • il ruolo del lavoratore, il quale potrebbe sentirsi responsabile per altre persone e il quale potrebbe riscontrare una certa ambiguità di ruolo;
  • il rapporto di interfaccia tra famiglia e lavoro, secondo cui le preoccupazioni derivanti dal proprio contesto familiare influiscono anche sulla propria situazione e organizzazione lavorativa.

fattori relativi al contenuto lavorativo, invece, sono tutti quei fattori collegati alla natura e alle caratteristiche del lavoro. Tra questi, abbiamo:

  • l’orario di lavoro, che può essere molto faticoso e stressante, specie quando organizzato su più turni lavorativi;
  • il carico e il ritmo di lavoro, che può definirsi sovraccarico o sottocarico;
  • l’ambiente e le attrezzature di lavoro, che possono essere di qualità insufficiente (in questo caso, ci si riferisce all’illuminazione, alla ventilazione, alle condizioni igienico-sanitarie e così via).

Per quanto riguarda i sintomi, si dividono in sintomi a livello aziendale e sintomi a livello personale.

sintomi a livello aziendale spesso si traducono in assenteismo generale, problemi di natura disciplinare, episodi di violenza all’interno dell’ambiente lavorativo, scarsa produttività e aumento delle malattie e degli infortuni professionali.

sintomi a livello personale, invece, riguardano maggiormente l’individuo lavoratore e possono toccare la sua sfera emotiva, quella fisiologica e quella comportamentale.

Lo stress da lavoro correlato: la valutazione del rischio

La valutazione dei rischi dello stress da lavoro correlato è essenziale per fare in modo di prevenire le cause scatenanti di questo disturbo, che deve essere combattuto anche mediante la progettazione di vari piani generali di sicurezza.

Concentrandoci sulla valutazione dei rischi per quanto riguarda lo stress da lavoro correlato, è necessario analizzare le quattro fasi di cui si compone.

  • La prima fase è quella propedeutica e consiste con la preparazione e l’organizzazione delle varie attività da svolgere durante la valutazione dei rischi.
  • La seconda fase è quella della valutazione preliminare, il cui scopo è quello di valutare la presenza di episodi sentinella;
  • La terza fase è quella della valutazione approfondita, durante la quale vengono raccolte le esperienze e le percezioni dei lavoratori. Questa fase risulta necessaria solamente nel caso in cui, durante la valutazione preliminare, si sia effettivamente verificata la presenza di episodi sentinella;
  • La quarta e ultima fase è quella della pianificazione degli interventi, attraverso cui verranno studiati e progettati i vari interventi da fare, al fine di evitare che il rischio dello stress da lavoro correlato possa diffondersi.

Le patologie più frequenti sul posto di lavoro

Purtroppo, negli ultimi anni, è stato registrato un notevole incremento di patologie legate al lavoro e al posto di lavoro di tantissimi lavoratori dipendenti: questo dato è il risultato di un grande aumento, in tutti i settori lavorativi del nostro Paese, delle denunce di malattie professionali e di malattie correlate al lavoro.

Questo aumento delle denunce è dovuto essenzialmente a due fattori:

  • da una parte, le numerose iniziative promosse dall’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) sono riuscite nello scopo di sensibilizzare sia i lavoratori sia i datori di lavoro in merito alle malattie professionali e alle malattie correlate al lavoro;
  • dall’altra parte, l’entrata in vigore di nuove tabelle ha permesso di classificare nuove malattie professionali e correlate al lavoro, che prima non rientravano in questa categoria.

Il risultato di questi due fattori messi insieme è stato, appunto, l’aumento delle denunce da parte dei lavoratori, alcuni dei quali hanno anche effettuato delle denunce plurime, che hanno a loro volta aumentato il conteggio delle malattie professionali e delle malattie correlate al lavoro.

Ma quali sono le patologie più frequenti sul posto di lavoro, quelle che rappresentano la maggior parte di queste denunce?

  • Al primo posto, si trovano le malattie osteo-articolari e muscolo-tendinee, che rappresentano circa il 60% delle denunce complessive. Tra queste malattie, le più diffuse sembrano essere le tendiniti e le affezioni dei dischi intervertebrali.
  • Dopo queste malattie, troviamo l’ipoacusia da rumore, una condizione dovuta all’esposizione al rumore per lunghi periodi di tempo. L’ipoacusia da rumore è principalmente diffusa tra i lavoratori che utilizzano macchinari molto rumorosi, come per esempio i metalmeccanici, i marmisti e i lavoratori del legno.
  • Dopo l’ipoacusia da rumore, ci sono le malattie da asbesto, provocate a causa dell’esposizione dei lavoratori all’amianto, definito come sostanza tossica e di cui è stata vietata la produzione, il commercio e la lavorazione.
  • In ultimo, abbiamo le malattie respiratorie, come l’asma bronchiale e l’alveolite allergica, che colpiscono l’apparato respiratorio e che sono causate dall’inalazione o dall’ingerimento di sostanze nocive che possono trovarsi nell’aria (come per esempio le vernici, le plastiche, composti chimici e organici e così via). Le malattie respiratorie colpiscono maggiormente i lavoratori del settore industriale, che spesso entrano in contatto con le sostanze che abbiamo elencato.

Le patologie più frequenti sul posto di lavoro: quali sono le definizioni

Nello scorso paragrafo, abbiamo spesso fatto riferimento alle categorie delle malattie professionali e delle malattie correlate al lavoro. Ma quali sono le definizioni di queste due categorie di malattie, così importanti per quanto riguarda il tema della salute e della sicurezza sul lavoro? E in che cosa si distinguono?

Le malattie professionali sono quelle malattie che hanno trovato la loro causa scatenante nell’esposizione a fattori di rischio fisico, chimico o biologico all’interno del luogo di lavoro. Per questo motivo, le norme nazionali si riferiscono alle malattie professionali come a quelle malattie risultanti dall’esposizione ai fattori di rischio nei luoghi di lavoro. Inoltre, le malattie professionali prevedono che sia riconosciuto un risarcimento, nel caso in cui sia evidente un collegamento tra lo sviluppo della malattia e il luogo di lavoro.

Le malattie correlate al lavoro, invece, sono quelle malattie che sono causate o aggravate da fattori ambientali presenti sul luogo di lavoro. Fanno parte di questa categoria tutte quelle malattie le cui cause sono molto complesse e tutte quelle malattie che sono causate dalla combinazione di fattori professionali (legati, quindi, alla posizione lavorativa) e di fattori non professionali (non legati, quindi, alla posizione lavorativa).

Le patologie più frequenti sul posto di lavoro: quali sono le eventuali cause scatenanti

Le eventuali cause scatenanti delle patologie più frequenti sul posto di lavoro sono molteplici e diverse e dipendono, soprattutto, dallo stato di salute del lavoratore e da quale sia la sua posizione lavorativa. Quello che è certo, però, è che tutte le malattie che abbiamo elencato prima (malattie osteo-articolari e muscolo-tendinee, ipoacusia da rumore, malattie da asbesto e malattie respiratorie) spesso vengono causate o peggiorate proprio dal lavoro.

Per evitare che le malattie professionali e le malattie correlate al lavoro si scatenino o si aggravino, è necessario che le aziende progettino dei piani generali della sicurezza, elaborati sullo studio approfondito della valutazione dei rischi. All’interno di questi rischi, infatti, devono essere analizzate le cause scatenanti di queste malattie, che potrebbero essere le seguenti:

  • le sostanze pericolose, come per esempio gli agenti chimici, organici o biologici, le quali possono condurre allo sviluppo di un tumore;
  • i fattori fisici, tra cui menzioniamo le vibrazioni, il rumore, il lavoro sedentario e il sollevamento manuale, che possono favorire lo sviluppo di molteplici patologie;
  • le radiazioni, che comprendono sia quelle del sole sia quelle dei vari macchinari utilizzati sul posto di lavoro;
  • fattori psicologici, come per esempio lo stress derivato da turni lavorativi piuttosto faticosi.

Inquinamento dell’aria: i rischi che corrono i dipendenti

Quando si parla di lavoro e di sicurezza sul luogo di lavoro, spesso si pensa ai dispositivi di protezione da utilizzare, agli infortuni e alle varie malattie professionali, agli agenti atmosferici e inquinanti che influiscono sulla salute dei lavoratori che lavorano all’aperto: troppo poco spesso, però, si pensa che anche nei luoghi di lavoro al chiuso (come per esempio gli uffici, i bar, i ristoranti, le fabbriche e via dicendo) la qualità dell’aria possa essere davvero scarsa e inquinante e possa causare eventuali danni alla salute dei dipendenti.

Nei luoghi di lavoro al chiuso, infatti, c’è spesso un viavai di moltissime persone (per esempio, come dicevamo, nei bar e così via), siano essi clienti o siano essi dipendenti: per questo motivo e per preservare la salute di tutti, è necessario che la qualità dell’aria non sia né inquinata né scarsa, ma che permetta di entrare e di lavorare in un posto in cui l’aria sia pulita e salubre.

Nei prossimi paragrafi di questo articolo, ci dedicheremo alla comprensione di quali siano le sostanze responsabili dell’inquinamento dell’aria e cercheremo di capire quali possano essere le soluzione per rendere la qualità dell’aria migliore per chiunque sia costretto a respirarla.

Ma, prima di dedicarci a tutto questo, quali sono gli effetti e i rischi che corrono i dipendenti? Respirare aria contraddistinta da una bassa qualità può avere effetti sul livello della qualità del lavoro, la quale rischia di essere ridotta proprio a causa dell’aria viziata, che provocherebbe irritabilità, deconcentrazione e disagio generali. Inoltre, la scarsa qualità dell’aria può portare anche a più seri problemi di salute, tra cui abbiamo:

  • la tosse;
  • l’arrossamento e l’affaticamento degli occhi;
  • il mal di testa;
  • la sensazione di vertigine e di nausea.

Con il tempo, questi sintomi che potrebbero apparire come leggeri possono in realtà causare problemi di salute anche più gravi, come la diffusione di forme allergichedifficoltà al livello dell’apparato respiratorio.

Ecco perché è necessario garantire la salubrità dell’aria all’interno dei luoghi di lavoro al chiuso, iniziando con l’analisi di quelli che possono essere gli agenti inquinanti responsabili di una scarsa qualità dell’aria.

Inquinamento dell’aria: quali sono le sostanze responsabili di questo inquinamento

Erroneamente, spesso si è portati a pensare che l’inquinamento dell’aria nei luoghi di lavoro al chiuso derivi in gran parte dall’esterno, da cui entrano pollini, gas di scarico, anidride carbonica e via dicendo; in realtà, secondo i diversi studi condotti sul tema della sicurezza sul lavoro, molti degli agenti inquinanti che si trovano all’interno dei luoghi di lavoro al chiuso derivano proprio da fonti interne. Con fonti interne si intendono: gli occupanti, cioè le persone che frequentano abitualmente il posto; i materiali da costruzione; gli agenti micro-biologici.

Gli occupanti, come dicevamo, sono tutte le persone (e anche gli animali) che frequentano quel luogo di lavoro: più sono le persone presenti in quello stesso ambiente, più ci sarà la possibilità che la qualità dell’aria sia parecchio scarsa ed inquinata. Questo inquinamento è dovuto all’alta concentrazione di anidride carbonica e di contaminanti biologici, come per esempio la pelle, i capelli e le goccioline di saliva emesse durante i colpi di tosse o gli starnuti.

materiali da costruzione sono anch’essi inquinanti, in quanto c’è la possibilità che rilascino sostanze chimiche, come per esempio le vernici, i residui di prodotti per la pulizia o di prodotti derivanti dagli strumenti da lavoro (colle, solventi, stampanti e fotocopiatrici in funzione).

Gli agenti micro-biologici, in ultimo, sono rappresentati in larga parte dalle muffe, che si formano sulle superfici delle pareti a causa dell’umidità e della scarsa areazione dell’ambiente e che il più delle volte non sono nemmeno visibili, ma ugualmente pericolose.

Inquinamento dell’aria: quali sono le soluzioni per migliorare la qualità dell’aria

Per apportare delle soluzioni che vadano a migliorare la qualità dell’aria, è necessario effettuare una seria valutazione dei rischi e, a seguito di questa, occorre procedere con lo studio e la progettazione dei piani generali di sicurezza.

Oltre a questo, è possibile seguire qualche accorgimento al fine di rendere o di mantenere l’aria sempre salubre all’interno del luogo di lavoro. Ecco quali sono questi semplici e piccoli accorgimenti.

  • Arieggiare gli ambienti più volte al giorno: la frequenza ideale sarebbe quella di aprire finestre e porte almeno dieci minuti ogni due ore, per contribuire al ricircolo dell’aria. Questa abitudine deve essere seguita a prescindere dalla stagione e, quindi, le finestre vanno aperte anche nelle giornate più fredde di inverno.
  • Abbassare il termostato di qualche grado: sempre nei mesi più freddi, è necessario abbassare il termostato di qualche grado, dal momento che all’interno degli ambienti molto caldi e molto umidi le muffe e i batteri hanno una maggiore capacità di proliferazione.
  • Sanificare gli ambienti: in ultimo, sanificare gli ambienti permette di eliminare definitivamente batteri, muffe e tutte le sostanze nocive presenti nell’aria. Per questo motivo, la sanificazione va eseguita con una certa frequenza e una certa periodicità.

Che cosa comporta l’esposizione all’amianto

Nel momento in cui stiamo scrivendo questo articolo, l’amianto – in quanto sostanza tossica – è stato vietato all’interno di qualunque luogo di lavoro, dal momento che questa sostanza può essere respirata se presente nell’aria e può anche essere ingerita se sciolta nell’acqua.

Ma come si è arrivati a tutto questo? Prima che l’amianto diventasse una sostanza vietata, moltissimi lavoratori hanno messo a rischio la loro salute inalando e ingerendo particelle di amianto, prestando il loro servizio nei settori di estrazione e di lavorazione dell’amianto; questi lavoratori non sono stati gli unici ad essere esposti a questo pericolo, in quanto l’amianto poteva essere respirato anche durante la vita non strettamente lavorativa, venendo a contatto con materiali che presentavano particelle di amianto. Inoltre, anche se è vero che ormai la sostanza dell’amianto è stata vietata per qualunque utilizzo, rimane altrettanto vero che ancora oggi abbiamo (purtroppo) la possibilità e il rischio di entrare a contatto con questa sostanza tossica, a causa dell’esistenza di prodotti che ancora non sono stati né sostituiti né smaltiti correttamente.

Ma da cosa dipende la pericolosità dell’amianto? In buona sostanza, dipende dalle dimensioni del diametro e della lunghezza delle sue particelle: le più pericolose sono quelle più piccole, contraddistinte da un diametro di 0,015 millimetri e da una lunghezza che va dai 0,8 ai 0,2 millimetri, le quali sono definite respirabili e possono penetrare all’interno delle vie respiratorie; le particelle più grandi, invece, sono considerate meno pericolose, dal momento che non riescono a penetrare all’interno delle vie respiratorie e si fermano nelle vie aeree superiori, cioè il naso e la trachea.

Prima di capire che cosa comporta l’esposizione all’amianto sulla nostra salute, capiamo nel dettaglio che cosa sia l’amianto nel prossimo paragrafo.

Che cosa è l’amianto

Prima di definire l’amianto come sostanza tossica, è necessario comprendere come si sia arrivati a questa definizione. L’amianto è una sostanza formata dall’insieme di minerali naturali fibrosi, i quali a loro volta sono composti da sostanze cosiddette silicati, unite a vari metalli (come il ferro, l’alluminio, il calcio e via dicendo).

Il termine amianto deriva dal greco amiantos, che significa incorruttibile; sempre dal greco deriva anche l’altro modo con cui ci si riferisce all’amianto, cioè asbesto, il cui termine derivante greco asbestos significa inestinguibile: sono proprio queste le due caratteristiche dell’amianto che lo hanno portato ad essere così incredibilmente diffuso ed utilizzato, la sua incorruttibilità e la sua inestinguibilità. Le particelle di amianto, infatti, sono famose per la loro flessibilità e la loro leggerezza, che conferisce alla sostanza una particolare resistenza al fuoco, al calore e alle varie sostanze chimiche: queste ulteriori caratteristiche hanno influito molto sull’utilizzo spasmodico che si è fatto di questa sostanza, soprattutto per quello che riguarda il settore delle costruzioni.

Per mezzo dell’amianto, infatti, per anni sono stati costruiti e realizzati materiali di copertura e di pavimentazione (cioè soffitti e pavimenti), materiali di isolamento termico, tute destinate all’utilizzo degli operai, tubi per il deposito o il passaggio dell’acqua e così via. Tutto questo è durato fino al 1994, anno in cui la Legge n. 257 ne ha vietato l’estrazione, il commercio e la produzione: da questo momento in poi, il nostro paese, il quale era uno dei più grandi e più famosi produttori di amianto, ha conosciuto una evoluzione mai vista prima.

Quali sono gli effetti dell’esposizione all’amianto sulla salute

Dal 1994, molti sono stati gli studi e i progetti portati avanti per quanto riguarda il rapporto tra l’esposizione all’amianto e la sicurezza sul lavoro: quelli principali hanno riguardato gli effetti di questa esposizione sulla salute dei lavoratori esposti a questa sostanza.

Come abbiamo detto, le particelle responsabili di eventuali effetti sulla salute sono quelle respirabili, cioè le più piccole, che possono penetrare nelle vie respiratorie più profonde, causando infiammazioneispessimento delle pareti respiratorie, che portano ad una fibrosi polmonare: questa fibrosi limita notevolmente le capacità respiratorie, tramutandosi in condizioni come l’enfisema, la pleurite e l’insufficienza respiratoria; tutto questo può dare vita a tumori di diversa tipologia, tra cui menzioniamo i più diffusi, cioè quelli legati ai polmoni.

Per questo motivo, nel corso degli anni, è stato effettuato un gran numero di valutazione dei rischi e sono stati progettati altrettanti piani generali di sicurezza, al fine di contrastare tutte queste condizioni patologiche derivanti dall’esposizione all’amianto e che manifestano i seguenti sintomi:

  • dispnea, cioè un affaticamento a respirare, sia a riposo sia dopo uno sforzo fisico;
  • dolore al torace;
  • in ultimo, come dicevamo, insufficienza respiratoria e anche cardiaca.

Tutti questi sintomi devono essere trattati tempestivamente, dopo aver ottenuto una diagnosi di questa condizione: la terapia, purtroppo, non consente di eliminare le patologie derivanti dall’esposizione all’amianto, ma consente di non aggravare i sintomi già presenti e di rallentare l’avanzamento della patologia. In questo senso, funzionano tutti i medicinali che hanno come funzione quella di migliorare le capacità respiratorie (ciò i bronco-dilatatori) e funzionano anche i vari vaccini anti-influenzali, che tengono lontane la varie infezioni polmonari. In ultimo, è necessario non entrare più a contatto con le particelle di amianto e smettere di fumare (qualora si tratti di un paziente fumatore).

Industria mineraria: le misure di sicurezza adatte

L’industria mineraria è una attività legata al settore estrattivo: i lavoratori di questo settore sono ben coscienti di svolgere mansioni ad alto rischio e di mettere, quindi, a rischio ogni giorno la loro sicurezza e la loro salute.

L’importante tematica della sicurezza e della salute nei lavori riguardanti il settore estrattivo è regolamentato da tre diverse e fondamentali norme di legge, che sono:

  • il Decreto del Presidente della Repubblica del 9 aprile 1959, n. 158;
  • il Decreto Legislativo del 25 novembre 1996, n. 624;
  • il Decreto Legislativo del 9 aprile 2008, n. 81.

Di queste tre norme di legge, quella a cui faremo più riferimento è senza dubbio la seconda, datata 1996, in quanto, letteralmente, “”prescrive le misure per la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori nelle attività estrattive di sostanze minerali“”. All’interno di questa particolare ed importante norma di legge, si trovano quindi tutte le normative riguardanti la prevenzione di eventuali infortuni e di eventuali malattie professionali, legate proprio all’esecuzione di questo tipo di attività lavorativa.

Per saperne di più su tutto ciò che concerne le misure di sicurezza adatte e studiate per l’industria mineraria, continuate a leggere questo articolo.

La valutazione dei rischi all’interno dell’industria mineraria

Importantissima, dal punto di vista della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, è la valutazione dei rischi all’interno dell’industria mineraria. Attraverso questa valutazione dei rischi, infatti, è possibile prevedere quali sono i rischi che i lavoratori corrono, svolgendo le diverse mansioni a lui affidate.

Per il settore estrattivo e per l’industria mineraria, la valutazione dei rischi prende il nome di Documento di Sicurezza e Salute (meglio noto attraverso il suo acronimo DDS), all’interno del quale sono raccolte, appunto, le informazioni relative ai vari ed eventuali rischi. Questo Documento di Sicurezza e Salute, inoltre, deve rispettare ulteriori regole e normative e, cioè, deve:

  • riportare le misure e le modalità operative per la gestione della sicurezza sul lavoro, durante le varie attività estrattive;
  • essere aggiornato costantemente, seguendo le eventuali modifiche e gli eventuali aggiornamenti dei luoghi di lavoro, modifiche ed aggiornamenti che potrebbero portare all’origine di nuovi potenziali rischi per i lavoratori. Inoltre, il Documento di Sicurezza e Salute deve essere aggiornato anche a fronte di sfortunati casi di incidenti o di infortuni.

Ma chi si occupa di scrivere il Documento di Sicurezza e Salute? Questo compito spetta al datore di lavoro, il quale, prima di redigere il Documento di Sicurezza e Salute, si avvale della collaborazione del Servizio di Prevenzione e di Protezione e della collaborazione di medici del lavoro. Non basta, però, che il datore di lavoro rediga questo Documento di Sicurezza e Salute: il DSS necessita, successivamente, la verifica e la supervisione di altre figure professionali, quali il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (meglio noto come RSPP), i sorveglianti sanitari e i rappresentanti dei lavoratori. Infine, il Documento di Sicurezza e Salute viene sottoscritto dal direttore responsabile.

I piani generali di sicurezza all’interno dell’industria mineraria

Oltre al Documento di Sicurezza e Salute, per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro dell’industria mineraria, giocano un ruolo fondamentale anche i piani generali di sicurezza.

All’interno di questi piani generali di sicurezza s trovano le varie misure da adottare per ridurre al minimo o per eliminare completamente i rischi legati alle attività estrattive. Tra queste misure, menzioniamo le principali, che sono:

  • l’impiego di adeguate attrezzature di sicurezza, le quali servono a prevenire eventuali incidenti ed infortuni;
  • la protezione in caso di incendi, che includono anche i mezzi di evacuazione e di salvataggio studiati appositamente per i lavoratori di questo settore;
  • sistemi di comunicazione, di avvertimento e di allarme, nel caso in cui si sia in presenza di un pericolo e sia necessario avvertire le opportune autorità o, semplicemente, sia necessario avvertire i propri colleghi;
  • le esercitazioni di sicurezza, utili a comprendere i comportamenti da avere e gli accorgimenti utili in caso di infortunio o di pericolo;
  • i criteri per l’addestramento in caso di emergenza, che si collegano alle esercitazioni di sicurezza, in quanto sono utili a far capire ai lavoratori come comportarsi in caso di bisogno;
  • le organizzazione del servizio di salvataggio, utile nel caso in cui i lavoratori si trovassero in pericolo e avessero necessità di essere, appunto, salvati;
  • i comandi a distanza in caso di emergenza, da conoscere alla perfezione nel caso in cui non ci fosse la possibilità di subentrare con un servizio di salvataggio.

I lavoratori devono ovviamente essere informati circa tutto ciò che è stato detto in questo articolo, sia per quanto riguarda la valutazione dei rischi sia per quanto riguarda i piani generali di sicurezza: solamente così è possibile scongiurare il rischio di incidenti e di infortuni, in modo tala da salvaguardare la salute dei lavoratori, i quali sono tenuti ad osservare scrupolosamente tutte le normative relative a questo importante settore lavorativo.