Rumore nell’ambiente di lavoro: quali sono i Dispositivi di Protezione Individuale per l’udito

Il rumore nell’ambiente di lavoro è una tematica molto importante per quanto riguarda la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, tanto importante da essere trattato all’interno del Decreto Legislativo 81/2008, in cui viene espressamente stabilito che il datore di lavoro è tenuto ad occuparsi della tutela dei lavoratori contro i danni originati da eventuali rumori.

Esistono delle precise e circoscritte misure di prevenzione in questo senso, che sono caratterizzate dalla sorveglianza sanitaria, dalla sostituzione delle attrezzature che risultano essere troppo rumorose, dalla formazione degli stessi lavoratori – che devono essere sempre aggiornati su queste tematiche – e, ovviamente, anche dall’utilizzo di appositi e specifici Dispositivi di Protezione Individuale (meglio noti come DPI).

In questo articolo, affronteremo nel dettaglio proprio questo argomento, elencando quali sono i Dispositivi di Protezione individuale per l’udito; prima, però, nel paragrafo che segue immediatamente, capiremo meglio che cosa di intende per rumore all’interno dell’ambiente di lavoro.

Che cosa si intende per rumore all’interno dell’ambiente di lavoro

La tematica della tutela della salute e della sicurezza del lavoro è sempre di massima importanza e, in questa tematica, rientra anche l’argomento del rumore all’interno dell’ambiente di lavoro.

Ma che cosa si intende esattamente per rumore in questo senso? Il rumore all’interno dell’ambiente di lavoro viene definito come un insieme di oscillazioni irregolari e acustiche all’interno del suddetto ambiente e, dal punto di vista del lavoratore, queste oscillazioni possono risultare estremamente limitanti e disturbanti. Inoltre, questo rumore può prendere anche il nome di inquinamento acustico.

Ma a che cosa è legato questo inquinamento acustico? Tendenzialmente, pare sia collegato ad una eccessiva esposizione a rumori di più o meno alta intensità, che possono causare moltissimi danni alla salute del lavoratore. Più nello specifico, gli effetti dell’inquinamento acustico sul lavoratore possono essere di tre tipologie diverse:

  • lo spostamento temporaneo della soglia acustica, che con il passare del tempo può portare a problemi ben più gravi;
  • l’ipoacusia a causa di un trauma uditivo acuto, che è caratterizzata da un dolore costante e da sintomi come vertigini e lacerazione del timpano;
  • l’ipoacusia a causa di un trauma uditivo cronico, che è l’unica di queste tipologie ad essere irreversibile.

Visti gli effetti di questo inquinamento acustico, è doveroso anche indagare quali sono le cause, che coincidono con i rumori dei macchinari che sono tendenzialmente presenti all’interno di vari luoghi di lavoro. Tra questi, per esempio, abbiamo l’industria del legno, i call center, le aziende di trasporti, quelle di agricoltura e via dicendo.

Quali sono le diverse tipologie di Dispositivi di Protezione Individuale per l’udito

La prevenzione dell’inquinamento acustico e del rumore all’interno dell’ambiente del lavoro è fondamentale e va studiata attraverso un accurato rilievo rumori e da una conseguente pianificazione dei migliori piani generali di sicurezza possibili,

Un punto fondamentale di questi piani generali di sicurezza è sicuramente quello dei Dispositivi di Protezione Individuale per l’udito, che sono gli otoprotettori, le cuffie anti-rumore e i tappi anti-rumore.

Gli otoprotettori

Gli otoprotettori sono una particolare tipologia di Dispositivi di Protezione Individuale per l’udito, i quali, per essere prodotti, necessitano dell’impronta dell’orecchio del lavoratore che li indosserà, attraverso una forma di silicone. Questi otoprotettori sono, quindi, personalizzati e sono caratterizzati da un fattore molto importante: consentono al lavoratore di sentire i rumori di fondo, senza isolarli completamente, ma ad ogni modo proteggendoli dall’inquinamento acustico, che sarebbe dannoso per la loro salute.

Esistono due diverse tipologie di otoprotettori, che si distinguono sulla base del loro materiale e che sono i seguenti:

  • gli otoprotettori in resina morbida;
  • gli otoprotettori in resina dura, nettamente migliori rispetto agli altri, dal momento che hanno una durata maggiore e una migliore condizione igienica.

Le cuffie anti-rumore

Le cuffie anti-rumore, così come gli otoprotettori, sono Dispositivi di Protezione Individuale per l’udito e, in questo senso, vengono utilizzati perché sono in grado di ridurre notevolmente la percezione dei vari ed eventuali rumori. Queste cuffie anti-rumore sono molto utili nei contesti lavorativi troppo rumorosi, dal momento che riescono a proteggere il canale uditivo di qualunque lavoratore li indossi.

Anche di cuffie anti-rumore ne esistono diverse tipologie, da scegliere sulla base delle proprie esigenze e delle proprie necessità.

I tappi anti-rumore

I tappi anti-rumore funzionano esattamente come una specie di barriera protettiva, che ha il compito di isolare il timpano dai rumori esterni. Sono, quindi, a tutti gli effetti dei Dispositivi Individuali di Protezione per l’udito e vanno inseriti nella parte esterna dell’orecchio, avendo cura di non superare i 15 millimetri di profondità.

Per quanto riguarda il materiale, i tappi anti-rumore sono realizzati con silicone, che è l’ideale per:

  • ridurre l’acufene;
  • prevenire eventuali otiti;
  • diminuire il volume dei rumori all’interno del luogo di lavoro.

Oltre a tutelare la salute e la sicurezza del lavoratore, va anche detto che i tappi anti-rumore sono perfetti per migliorare la concentrazione all’interno dell’ambiente di lavoro, annullando così ogni eventuale distrazione.

Occhiali o lenti durante le attività lavorative: il rimborso da parte dell’azienda

Il tema della sicurezza del lavoro tocca tutti i settori lavorativi e, ovviamente, non solo quelli più pratici e apparentemente più rischioso: anche i lavori al PC, anche detti lavori con videoterminali, devono rispettare alcune specifiche leggi e normative, che con il passare del tempo si fanno sempre più dettagliate e meticolose.

Solamente il 22 dicembre dello scorso anno, la Corte di Giustizia Europea si è pronunciata a questo proposito, attraverso la sentenza 392, all’interno della quale ci si è concentrati proprio su quello che è l’argomento di questo articolo: l’utilizzo degli occhiali o delle lenti durante l’attività lavorativa. Sull’utilizzo in sé degli occhiali o delle lenti durante l’attività lavorativa, in realtà, non c’è molto da dire, dal momento che se un lavoratore ha la necessità di indossare questi strumenti per poter lavorare in maniera efficace è giusto – e anche raccomandato – che li indossi.

L’argomento su cui la Corte di Giustizia Europea si è concentrata nella sentenza 329 riguarda un altro tipo di discorso, cioè a chi spetta la spesa riguardante questi strumenti. La Corte di Giustizia Europea è stata molto chiara: è l’azienda stessa a dover fornire gli occhiali o le lenti o a dover rimborsare le spese sostenuti dai lavoratori.

Ma che cosa stabilisce la normativa più nel dettaglio? E quali sono gli obblighi a carico dell’azienda rispetto a questa importante tematica? Scopriamolo insieme, rispondendo rispettivamente a queste due domande nei due paragrafi successivi.

Occhiali o lenti durante le attività lavorative: che cosa stabilisce la normativa

Il tema della sicurezza sul lavoro è un tema sempre molto caro alla Comunità Europea, la quale, proprio per questo motivo, stabilisce delle leggi e delle normative sempre molto chiare e molto precise, a salvaguardia della salute e della sicurezza dei lavoratori.

Per quanto riguarda l’utilizzo di occhiali o di lenti durante le attività lavorative e, in particolar modo, al sostegno di questa spesa, abbiamo già chiarito che cosa dice la sentenza 392 pronunciata proprio dalla Corte di Giustizia Europea. Prima di questa sentenza, però, ne era presente già un’altra – più precisamente la direttiva 391 – datata 1989, che riguardava proprio “”l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro””, anche attraverso l’attuazione di una frequente e approfondita valutazione dei rischi, sulla base della quale costruire dei funzionali ed efficaci piani generali di sicurezza.

L’anno successivo, nel 1990, la Corte di Giustizia Europea si è di nuovo pronunciata su questa questione, attraverso la direttiva 270, in cui si fa uno specifico riferimento a quello che riguarda il lavoro con i videoterminali, cioè i PC, i display, i monitor e così via. A riguardo di questo specifico argomento, all’interno di questa direttiva si trovano dei chiari obblighi e delle chiare tutele per tutti i lavoratori che fanno uso di videoterminali durante le loro attività lavorative; ancora più nello specifico, nell’articolo 9 di questa direttiva che porta il titolo di Protezione degli occhi e della vista dei lavoratori, la Corte di Giustizia Europea sancisce delle regole precise per quanto riguarda questo argomento, che sono le seguenti.

  • Attraverso questo articolo, viene introdotto l’obbligo di una visita oculistica sia prima di iniziare l’attività lavorativa con videoterminali sia durante tutto il periodo di attività, con una certa costanza e periodicità, al fine di monitorare l’andamento della vista dei lavoratori.
  • Per quanto riguarda, invece, più strettamente l’argomento degli occhiali (o delle lenti), in questo articolo è stabilito che i lavoratori sono tenuti a ricevere questi dispositivi, nel caso in cui gli esiti delle visite mostrino una difficoltà visiva e, di conseguenza, la necessità di occhiali (o di lenti).

Occhiali o lenti durante le attività lavorative: quali sono gli obblighi a carico dell’azienda

Viste le regole stabilite dalla normativa vigente, abbiamo chiarito che l’azienda ha l’obbligo di sostenere le spese relative agli occhiali e alle lenti per tutti i lavoratori che ne hanno bisogno. In altre parole, quindi, il lavoratore non è tenuto a sostenere questo tipo di spese.

Ma come può, quindi, un lavoratore sollevarsi da questi costi? Per farlo, ci sono due diverse modalità.

  • La prima modalità consiste nel rimborso da parte dell’azienda dei costi sostenuti dai lavoratori.
  • La seconda modalità, invece, prevede che sia obbligo dell’azienda quello di fornire gli occhiali o le lenti ai lavoratori,

Il lavoratore, in questo modo, è completamente tutelato, così come vengono tutelate la sua sicurezza e a sua salute durante le ore e le attività lavorative, che possono mettere a dura prova difetti della vita già esistenti o possono crearne di nuovi.

L’azienda, quindi, dal canto suo, deve impegnarsi a promuovere e a sostenere il tema della salute e della sicurezza sul lavoro, che passa anche attraverso l’argomento che abbiamo affrontato in questo articolo, cercando di offrirne un quadro generale completo e chiarificatore di tutti i dubbi.

La movimentazione delle macchine da terra: come agire nel rispetto della sicurezza sul lavoro

Sui luoghi di lavoro, specialmente quelli edili, di manovalanza o di manutenzione, esistono moltissimi macchinari che possono mettere a rischio la salute e la sicurezza dei lavoratori, in particolar modo – ovviamente – quando non sono utilizzati nella maniera più idonea. Gli imprevisti e gli incidenti, si sa, possono capitare in qualunque occasione, ma è sempre bene cercare di prevenire il più possibile queste evenienze, cercando di utilizzare nella maniera più corretta tutti questi macchinari.

Alcuni di questi rischi sono legati alla movimentazione della macchine da terra e, quindi, al suo necessario macchinario, che risponde proprio al nome di macchina movimento terra (conosciuta nel gergo anche attraverso il suo acronimo, MMT). Prima di mettersi alla guida o di scegliere qualcuno da mettere alla guida delle macchine movimento terra, occorre essere certi di disporre della giusta preparazione, della giusta esperienza e delle giuste competenze, tutte utili a rispettare le norme e le regole di sicurezza e, di conseguenza, a evitare i pericoli più comuni legati a questa attività lavorativa.

Ma quali sono questi pericoli a cui stiamo facendo riferimento? I pericoli legati alla movimentazione delle macchine da terra sono i seguenti:

  • gli incidenti, collegati ad una manovra eseguita in maniera scorretta, che può portare il macchinario a perdere l’equilibrio e a urtarsi contro qualcosa o qualcuno;
  • gli scontri tra mezzi, molto tipici all’interno dei cantieri, in cui lo spazio destinato al passaggio di questi macchinari è sempre molto stretto, specialmente quando si devono effettuare delle manovre particolari;
  • ribaltamenti, che spesso sono causati dal peso del macchinario stesso o dallo stato del terreno sul quale si sta guidando. La conseguenza di un ribaltamento può essere un incidente, in cui le persone coinvolte possono essere il guidatore, che potrebbe essere schiacciato dal macchinario stesso, ma anche le persone che si trovano vicine al macchinario.

Altri rischi da non sottovalutare sono quelli legati agli schizzi e agli spruzzi di materiali, che possono essere molto pericolosi per chi si trova nelle vicinanze della macchina movimento terra.

Visti tutti i pericoli e tutti i rischi derivanti dalla movimentazione delle macchine da terra, è il momento di capire come agire nel rispetto della sicurezza sul lavoro in tutte le fasi dell’utilizzo di queste macchine.

La prevenzione dei rischi derivanti dalla movimentazione delle macchine da terra prima dell’effettivo utilizzo

Per movimentare correttamente e nel rispetto dei principi della sicurezza sul lavoro le macchine da terra, occorre essere a conoscenza di alcune regole, le quali derivano da una attenta valutazione dei rischi e che vengono messe per iscritte all’interno dei piani generali sulla sicurezza.

La prima fase di movimentazione delle macchine da terra è, ovviamente, quella precedente all’effettivo utilizzo: pur essendo precedente all’utilizzo vero e proprio, è comunque necessario agire nel rispetto delle normative vigenti.

Questa prima fase consiste in un controllo, sia interno sia esterno, del macchinario:

  • dal punto di vista interno, il macchinario deve essere correttamente funzionante. In questo senso, vanno analizzati il sistema dei freni, quello delle manovre e così via;
  • dal punto di vista esterno, invece, occorre analizzare quello che si trova intorno al macchinario, escludendo la presenza di persone, di ostacoli e di altri elementi che potrebbero causare il ribaltamento del macchinario, con un conseguente incidente.

Completata questa fase, è possibile mettersi effettivamente alla guida del mezzo: scopriamo insieme come nel prossimo ed ultimo paragrafo!

La prevenzione dei rischi derivanti dalla movimentazione delle macchina da terra durante e dopo l’effettivo utilizzo

La fase immediatamente successiva a quella del controllo (interno ed esterno), ovvero la seconda fase, consiste nell’effettivo utilizzo del macchinario e, quindi, della guida. In questa importantissima fase, occorre innanzitutto che il guidatore abbia tutte le competenze necessarie per mettersi alla guida di un macchinario come la macchina movimento terra.

Una volta che si è sul mezzo, bisogna poi prestare una minuziosa attenzione a tutto ciò che si trova nel circondario, a partire dal terreno, che può essere più o meno favorevole. Inoltre, bisogna evitare di eseguire delle manovre troppo brusche (proprio al fine di evitare eventuali incidenti) e, se lasciato per un secondo il macchinario, occorre inserire i freni.

L’ultima e terza fase è quella successiva alla guida del macchinario: non è sufficiente scendere dalla macchina movimento terra, ma occorre effettuare ulteriori controlli. Innanzitutto, il macchinario va lasciato in un luogo stabile e sicuro, analizzando approfonditamente il terreno di quel posto. Dopodiché, ecco le regole su come va lasciato il macchinario:

  • deve essere chiuso a chiave;
  • freni devono essere inseriti;
  • al suo interno non va lasciata nessuna attrezzatura.

Per concludere, va detto anche che nel caso in cui la macchina movimento terra avesse bisogno di riparazioni o di manutenzioni, occorre sempre seguire queste regole, nel rispetto della propria salute e della propria sicurezza, ma anche di quelle delle persone che lavoreranno per riparare o per controllare il mezzo.

Intelligenza artificiale e sicurezza sul lavoro

Negli scorsi mesi, ovunque e per lungo tempo si è sentito parlare delle intelligenze artificiali, che secondo gli studi e le ricerche più recenti possono essere di grande aiuto e di grande supporto da moltissimi punti di vista, compreso quello lavorativo. Oltre ad essere utili per non aggravare troppo sui lavoratori, le intelligenze artificiali possono essere utili anche per un aspetto molto importante per il settore e per il mondo del lavoro: la sicurezza.

In questi termini, l’intelligenza artificiale (anche conosciuta attraverso il suo acronimo, che è IA) può migliorare la sicurezza sul lavoro, ad esempio prevenendo gli eventuali infortuni, riducendo il numero di eventuali incidenti e limitando le eventuali malattie professionali, tutti aspetti causati proprio dalle attività lavorative svolte in non totale sicurezza.

Ma, quindi, come si può definire il rapporto tra intelligenza artificiale e sicurezza sul lavoro? Cerchiamo di scoprirlo insieme in questo articolo e nei prossimi paragrafi, in cui capiremo quali sono gli effetti che l’intelligenza artificiale ha nei confronti della sicurezza sul lavoro e in cui elencheremo quali sono i vantaggi dell’impiego dell’intelligenza artificiale a questo scopo.

Che effetti ha l’intelligenza artificiale per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro

Prima di entrare nello specifico di questo argomento importantissimo per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro, occorre specificare che cosa è l’intelligenza artificiale (IA): per darne una definizione breve e soddisfacente, possiamo dire che l’intelligenza artificiale è la combinazione di diverse tecnologie, caratterizzate da una certa potenza.

Inoltre, l’intelligenza artificiale in qualche modo imita il comportamento dell’essere umano (senza il quale non potrebbe nemmeno esistere), ma è decisamente più capace e più in grado rispetto all’essere umano di fronteggiare alcune sfide e di risolvere alcuni problemi che sembrano impossibili. Oltre a questa risoluzione di sfide e di problemi, l’intelligenza artificiale ha un enorme talento: quello di ridurre i rischi (analizzati attraverso una attenta ed approfondita valutazione dei rischi) sul luogo di lavoro di dieci volte in più rispetto alle normali e semplici regole applicate da ogni lavoratore.

Va detto che di intelligenze artificiali ne esistono davvero tante: quella più specificatamente utile per quanto riguarda il tema della sicurezza sul lavoro è l’Internet of Thing (anche conosciuto come IoT). Ma che cosa è questo Internet of Thing? E in che cosa consiste? L’Internet of Thing è una particolare intelligenza artificiale, unica nel suo genere, e la sua funzione primaria è quella di monitorare e di controllare tutto, dal funzionamento delle macchine alle postazioni di lavoro, passando anche per il controllo dei dipendenti. Tutto questo è possibile grazie alla presenza di alcuni piccolissimi sensori, attraverso cui possono essere rilevati i vari ed eventuali rischi e i vari ed eventuali pericoli, al fine di ridurli e di evitarli.

Per riassumere, quindi, l’intelligenza artificiale ha degli effetti importanti per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro: il più importante è senza ombra di dubbio quello di limitare i rischi per i lavoratori.

Quali sono i vantaggi dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale per la sicurezza sul lavoro

Utilizzare un’intelligenza artificiale per la sicurezza sul lavoro (come consigliato in moltissimi piani generali di sicurezza) porta con sé un altissimo numero di vantaggi. Scopriamo dunque, insieme, quali sono i principali di questi vantaggi.

  • La possibilità di automatizzare le attività più pericolose: le intelligenze artificiali possono controllare i robot destinati alla produzione e, inoltre, possono completare quelle attività che per l’essere umano sarebbero troppo pericolose o usuranti.
  • La possibilità di controllare le varie attrezzature: le intelligenze artificiali sono molto utili anche nel monitoraggio e nel controllo di tutte le varie attrezzature che quotidianamente vengono usate dai lavoratori. Un eventuale malfunzionamento di queste attrezzature potrebbe causare diversi e molteplici danni e, per questo motivo, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale rappresenta un grande vantaggio.
  • La possibilità di monitorare i dipendenti: le intelligenze artificiali, tra le altre funzioni, svolgono anche quella di controllare e monitorare i dipendenti. Questa funzione di controllo sembra essere molto utile nella prevenzione della diffusione dei virus e delle malattie professionali, così come nella prevenzione di incidenti e di infortuni. Oltre a monitorare i dipendenti, le intelligenze artificiali danno anche modo di monitorare eventuali molestie, le quali rappresentano un problema piuttosto grave all’interno del settore lavorativo: grazie alle intelligenze artificiali, però, questo problema può essere contenuto e limitato.
  • La possibilità di ridurre gli errori umani: molto spesso, la causa degli infortuni o degli incidenti sul luogo di lavoro sono proprio gli errori umani, i quali sono a loro volta causati dalla stanchezza e dallo stress a cui spesso i lavoratori sono esposti. Le intelligenze artificiali sono molto funzionali anche in questo senso, dal momento che possono rendersi conto della stanchezza dei lavoratori e mandare dei segnali che li avvisino del potenziale pericolo, prima che gli infortuni o gli incidenti si verifichino in maniera effettiva.

Scarpe antinfortunistiche: tutto quello che c’è da sapere

Non tutti i lavoratori sono tenuti ad indossarle sul luogo di lavoro (a seconda di quale attività lavorativa si svolga), ma tutti ne hanno sentito parlare almeno una volta nella vita: stiamo parlando delle scarpe antinfortunistiche, anche conosciute come le scarpe di sicurezza. Ed è proprio per la sicurezza dei lavoratori che viene raccomandato l’utilizzo di queste scarpe, dal momento che la loro funzione è quella di proteggere il piede durante le ore di lavoro, fornendo un sostegno contro diverse tipologie di rischio.

Abbiamo già specificato che non tutti i lavoratori hanno l’obbligo di indossarle durante le loro prestazioni lavorative: le categorie più coinvolte in questo utilizzo, invece, sono quella dei manovali, quella degli elettricisti, quella degli operai e in alcuni casi anche quella dei professionisti della ristorazione e dei professionisti della sanità. A seconda della categoria, le scarpe antinfortunistiche possono essere molto diverse: alcune sono state progettate per essere impermeabili, altre per essere isolanti, altre ancora per proteggere il piede da eventuali urti. In altre parole, esiste una tipologia di scarpa antinfortunistica per ogni categoria di lavoratori che ne ha bisogno.

Le tre tipologie di scarpe antinfortunistiche

Più nello specifico, le scarpe antinfortunistiche (che per essere definite tali devono riportare il simbolo CE), possono essere suddivise in tre categorie, ognuna delle quali contraddistinta da alcune caratteristiche:

  • le calzature da lavoro, testate secondo la norma ISO 20347, sono solitamente delle scarpe idro-repellenti e, spesso, sono dotate di una particolare soletta che escluda la possibilità di una perforazione;
  • le calzature di sicurezza, testate secondo la norma ISO 20345, sono caratterizzate dalla presenza di un puntale piuttosto rigido, capace ci proteggere il piede da un colpo pari alla caduta di un peso di circa 20 kg e da circa un metro di altezza;
  • le calzature di protezione, testate secondo la norma ISO 20346, dispongono di un puntale meno rigido rispetto alle calzature di sicurezza, e sono in grado di proteggere il piede sempre da un colpo pari alla caduta di un peso di circa 20 kg, ma da solo circa mezzo metro di altezza.

Scarpe antinfortunistiche: cosa dice la normativa

Essendo le scarpe antinfortunistiche un necessario Dispositivo di Protezione Individuale (DPI) pensato per garantire la sicurezza sul lavoro, esistono delle normative proprio riguardanti questa tematica.

Più nello specifico, la normativa di riferimento è il Decreto Legislativo n. 81 del 2008: all’interno di questo decreto, viene stabilito l’obbligo di indossare le scarpe antinfortunistiche nel corso dello svolgimento di tutte le attività lavorative che possono mettere a rischio la salute del piede. Inoltre, in questo decreto, vengono anche riportate le attività lavorative che sono tenute, secondo i piani generali di sicurezza, a indossare queste scarpe. Queste attività lavorative sono le seguenti:

  • lavori sui tetti;
  • lavori stradali e di genio civile;
  • lavori su impalcatura e di demolizioni;
  • lavori di rustico;
  • lavori in calcestruzzo, con montaggio e smontaggio;
  • lavori in cantieri edili.

Questa lista di attività è ovviamente solo parziale e per tutte queste categorie è raccomandato l’utilizzo di scarpe anti-perforazione.

Altre categorie di lavoro, che secondo il Decreto Legislativo n. 81 del 2008 richiedono l’utilizzo di scarpe antinfortunistiche, ma senza la soletta anti-perforazione, sono le seguenti:

  • stabilimenti metallurgici;
  • lavori di trasformazione e di manutenzione;
  • lavori nell’industria della ceramica;
  • costruzioni navali;
  • lavori edili di impianti di riscaldamento.

Scarpe antinfortunistiche: i rischi di chi non le indossa

Oramai lo abbiamo capito: per alcune specifiche categorie lavorative (tra cui quelle che abbiamo elencato), indossare le scarpe antinfortunistiche è obbligatorio e, di conseguenza, i rischi di chi non le indossa sono molto alti. L’obbligo di indossare queste scarpe, infatti, deriva da una approfondita valutazione dei rischi, attraverso cui vengono definiti appunto tutti i rischi che ogni lavoratore che si rifiuta di indossare le scarpe antinfortunistiche corre quotidianamente. I rischi corsi, banalmente, riguardano la salute e la sicurezza dei lavoratori, che possono ferirsi, più o meno gravemente.

I lavoratori, però, non sono gli unici a rischiare: esistono, in ogni azienda, delle figure professionali che si occupano proprio del controllo della sicurezza e della verifica del fatto che i lavoratori seguano tutte le regole per la loro sicurezza. Queste figure professionali sono il datore di lavoro, il responsabile del luogo di lavoro e il RSPP (Responsabile del Servizio di Prevenzione e di Portezione): ognuno di loro ha dei compiti precisi per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro, ma tutti devono verificare che le regola vengano seguite dai lavoratori, che non possono permettersi di mettere a rischio la propria salute.

Nel caso di queste tre figure professionali, il rischio non riguarda sicuramente la salute, ma riguarda il settore amministrativo: in particolar modo il datore di lavoro, nel caso in cui i suoi dipendenti non indossino le scarpe antinfortunistiche ove e quando richiesto, è tenuto a pagare delle sanzioni amministrative, più o meno esose; nei casi più gravi, inoltre, può anche essere previsto l’arresto.

Testo unico sulla sicurezza: le novità di gennaio 2023

In tema di lavoro e soprattutto di sicurezza sul lavoro, il testo da prendere come riferimento è senza ombra di dubbio il Testo unico sulla sicurezza: questo testo, che coincide con il Decreto Legislativo 81/2008, infatti è il punto di riferimento dal punto di vista legislativo per quanto riguarda il tema della sicurezza e della salute dei lavoratori e, proprio per questo motivo, viene aggiornato costantemente con le ultime novità necessarie in merito a questo tema così importante.

Il Testo unico sulla sicurezza consultato fino all’inizio del 2023 era aggiornato al mese di agosto del 2022: con l’inizio del nuovo anno e, quindi, con il mese di gennaio l’INL (ovvero l’Ispettorato Nazionale del Lavoro) ha aggiornato nuovamente questo testo, inserendo alcune importanti novità, che elencheremo nel corso di questo articolo.

Ma qual è l’effettivo contenuto di questo Testo unico sulla sicurezza e, quindi, di questo Decreto Legislativo? In buona sostanza, all’interno di questo Decreto Legislativo sono riportate tutte le norme finalizzate alla prevenzione, da adottare obbligatoriamente per ridurre al minimo eventuali infortuni sul posto di lavoro ed eventuali malattie, cercando di salvaguardare la salute e la sicurezza di tutti i lavoratori durante lo svolgimento della loro attività lavorativa.

Scopriamo, dunque, nei successivi paragrafi quali sono nel dettaglio le norme contenute all’interno del Testo unico sulla sicurezza e come trovano la loro applicabilità all’interno delle aziende e della attività lavorative.

Le norme contenute all’interno del Testo unico sulla sicurezza

Come abbiamo anticipato nell’introduzione di questo articolo, il Testo unico sulla sicurezza (cioè il Decreto Legislativo 81/2008) contiene al suo interno tutte quelle norme generali che regolano e garantiscono la tutela obbligatoria della salute e della sicurezza sul lavoro, che devono essere attuate attraverso un sistema di sicurezza a livello aziendale.

Ma le norme contenute nel Testo unico sulla sicurezza non riguardano solo questo: riguardano anche tutte le misure di sicurezza, che vengono aggiornate periodicamente e che sono studiate per ridurre al minimo eventuali e specifici rischi legati ad alcune specifiche attività (come, ad esempio, gli agenti fisici e biologici, la movimentazione manuale di carichi pesanti e via dicendo).

I rischi di cui stiamo parlando vengono analizzati e documentati attraverso una attenta e minuziosa valutazione dei rischi, la quale si tradurrà successivamente nella creazione di piani generali di sicurezza, messi in atto proprio per limitare il numero di eventuali incidenti, infortuni o malattie professionali. Ma come vengono classificati questi rischi? Scopriamolo insieme.

  • rischi per la sicurezza: questi rischi sono quelli che causano incidenti ed infortuni e sono da ricollegare alla conformazione dell’ambiente di lavoro. Un esempio di questa tipologia di rischi possono essere i vari macchinari e le varie attrezzature utilizzate durante l’attività lavorativa.
  • rischi per la salute: questi rischi, invece, sono quelli che causano danni di tipo biologico alle persone esposte. Alcuni esempi, in questi casi, sono le condizioni igieniche del luogo di lavoro, gli agenti chimici e così via.
  • rischi trasversali: questi rischi sono anche definiti come rischi organizzativi e sono causati principalmente dalle dinamiche relative al contesto lavorativo e relative al rapporto tra i colleghi. Un esempio di rischio trasversale è sicuramente lo stress lavoro correlato.

Definito il contenuto del Testo unico sulla sicurezza, è il momento di capire quali sono le principali misure pratiche da adottare all’interno di tutte le aziende e di tutti i contesti lavorativi: scopriamolo insieme nel prossimo paragrafo.

Le principali misure da applicare contenute all’interno del Testo unico sulla sicurezza

Il Testo unico sulla sicurezza, infatti, non contiene al suo interno solo le norme di cui abbiamo parlato, ma anche le misure da applicare, sia nei contesti pubblici sia nei contesti privati e sia per i lavoratori pubblici sia per i lavoratori privati. Lo scopo di queste misure è certamente quello di diminuire il numero degli infortuni sul lavoro e il compito di applicare queste misure spetta al datore di lavoro, che deve seguire le seguenti linee guida.

  • Innanzitutto, bisogna pensare ad una formazione specifica per tutti coloro che si trovano all’interno dell’azienda: lavoratori, dirigenti, preposti e così via.
  • Dopodiché, bisogna studiare una corretta valutazione dei rischi, al fine di essere a conoscenza di quali sono i rischi da combattere e da contrastare. In particolare, va dedicata particolare attenzione a quegli agenti fisici, biologici e chimici a cui sono esposti quotidianamente i lavoratori, al fine di ridurre al minimo la potenza dei rischi legati a questi agenti.
  • Inoltre, è importante attuare una gestione e una amministrazione dei rischi, attraverso il servizio di prevenzione, necessario per minimizzare il numero di infortuni e di incidenti sul lavoro.
  • Infine, anche il controllo sanitario è essenziale, al fine di avere sempre sotto controllo lo stato di salute di tutti i lavoratori.

La sicurezza sul lavoro, quindi, resta un argomento essenziale, che va sempre studiato nel minimo dettaglio e che è fondamentale per la tutela di tutti i lavoratori.

Covid-19: le ultime novità e le ultime implicazioni nel mondo del lavoro

Smetteremo mai di parlare di Covid-19? Purtroppo quel giorno è ancora lontano, dal momento che a partire dall’inizio del 2023 sono state apportate alcune novità, che implicano dei cambiamenti anche nel mondo del lavoro, specialmente per quanto riguarda la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

Più nello specifico, queste ultime novità riguardano i protocolli di sicurezza, studiati appositamente per la prevenzione della diffusione del virus all’interno dei luoghi di lavoro. Ma che cosa prevedono questi protocolli di sicurezza e di prevenzione?

  • In primo luogo, all’interno di questi protocolli è caldamente consigliato di promuovere la distanza fisica tra un lavoratore e l’altro. L’unico modo per farlo, specialmente in alcuni casi, è la riduzione delle persone presenti nello stesso orario di lavoro e, di conseguenza, la rimodulazione dei turni di lavoro e degli orari di lavoro stessi.
  • In secondo luogo, è altrettanto raccomandata la frequente sanificazione degli ambienti di lavoro, la quale deve essere eseguita con particolare attenzione nelle aree comuni e ai più comuni punti di contatto, come ad esempio le maniglie delle porte.
  • Inoltre, è ancora consigliato l’utilizzo di Dispositivi di Protezione Individuale, tra cui primeggiano le mascherine e i guanti, raccomandati specialmente tra i lavoratori che spesso sono tenuti ad entrare in contatto con altre persone.
  • Altrettanto necessaria è la formazione dei lavoratori circa le novità che riguardano la diffusione del Covid-19, che va il più possibile evitata, seguendo le regole viste fino ad ora.
  • In ultimo, è necessario anche predisporre protocolli per poter gestire eventuali casi di positività al Covid-19 all’interno del contesto lavorativo. Di questo, parleremo più specificatamente nell’ultimo paragrafo di questo articolo.

In merito al penultimo punto di questa lista, quello che fa riferimento alla formazione dei lavoratori, è doveroso fare un piccolo approfondimento. Innanzitutto, va detto che la formazione è compito del datore di lavoro, il quale deve impegnarsi nel fornire tutte le informazioni necessarie ai suoi lavoratori al fine di evitare eventuali e possibili contagi. Più nello specifico, i lavoratori vanno formati, ad esempio, sulle corrette modalità di indossare i Dispositivi di Protezione Individuale (quali le mascherine e i guanti), sulle corrette modalità di segnalazione in caso di eventuale contagio e sulle corrette precauzioni da prendere per non incorrere nel virus.

Compito del datore di lavoro, inoltre, è anche la gestione delle emergenze legate al Covid-19, che analizzeremo in maniera approfondita nel prossimo paragrafo.

Come gestire le emergenze legate al Covid-19

I datori di lavoro sono tenuti a gestire tutto ciò che riguarda la sicurezza sul lavoro, comprese le emergenze legate al Covid-19, seguendo delle specifiche linee guida, che prevedono i seguenti passaggi.

  • L’identificazione dei rischi, che va riportata all’interno del documento relativo alla valutazione dei rischi: questo documento è essenziale, specialmente al fine di adottare le giuste misure per la prevenzione del Covid-19.
  • La costituzione di una squadra di emergenza in caso di contagi all’interno dell’azienda, che sappia come prendere in mano la situazione e come comportarsi.
  • La progettazione di un piano di comunicazione che sia efficace e che informi sempre e costantemente tutti i lavoratori rispetto alle decisioni prese e alle misure adottate, nel caso in cui se ne verificasse la necessità.
  • In ultimo, lo studio di piani generali di sicurezza in caso di contagio, i quali devono comunque contribuire a mantenere la produttività e la continuità delle attività lavorative.

Proprio in merito a quest’ultimo punto, è necessario affrontare in maniera più approfondita l’organizzazione di questi piani generali di sicurezza e di questi protocolli da adottare in queste spiacevoli (ma talvolta inevitabili) situazioni di contagio).

Come organizzare i piani generali di sicurezza in caso di contagio

Anche lo studio e l’organizzazione dei piani generali di sicurezza è mansione del datore di lavoro, il quale è tenuto anche in questo caso a seguire delle specifiche regole.

In casi come questo, la cosa essenziale è cercare di limitare il contagio il più possibile e stabilire, dunque, degli ottimali protocolli di gestione del contagio, che devono prevedere sempre la presenza di una buona comunicazione e che siano sempre mirate nella direzione di un piano di continuità delle attività di lavoro, essenziali per la produttività dell’azienda.

In caso di contagio, però, il datore di lavoro non è l’unica figura fondamentale: anche il medico del lavoro ricopre un ruolo essenziale nella gestione della sicurezza in caso di contagio, dal momento che è la figura professionale legata alla sorveglianza sanitaria. Ma che cos’è questa sorveglianza sanitaria? E a che cosa serve? La sorveglianza sanitaria comprende tutte quelle attività di monitoraggio della situazione di salute dei lavoratori, essenziali per comprendere come gestire la situazione anche in azienda.

Insomma, le regole relative al Covid-19 e al mondo del lavoro non hanno subito grandi modifiche, ma è sempre bene ribadire quanto è importante seguire tutte queste norme, al fine di salvaguardare la salute dei lavoratori e, di riflesso, la produttività dell’azienda.

Rischio di scivolamento e di caduta sui luoghi di lavoro

Come già sappiamo, la sicurezza e la salute all’interno del mondo del lavoro sono una delle priorità, che spesso vengono purtroppo trascurate e sottovalutate: non a caso, infatti, la maggior parte delle assenze dal lavoro sono causate da malattie professionali e da infortuni.

Per quello che riguarda gli infortuni, la causa principale di questi ultimi è da ricercare all’interno del rischio di scivolamento e di caduta sui luoghi di lavoro; questo rischio, inoltre, riguarda tutti i settori lavorativi, compreso ad esempio quello d’ufficio, che sembrerebbe insospettabile.

Fortunatamente, con il passare del tempo, questa tipologia di infortuni si è ridotta in maniera esponenziale, probabilmente per merito dei vari studi condotti in merito. Più nello specifico, stiamo facendo riferimento a un elaborato prodotto dalla direzione della Regione Campania, che porta il titolo Valutare il rischio di caduta in piano e che affronta in maniera diretta questo importante tema. Sommariamente, potremmo dire che questo documento è da suddividere in due parti:

  • nella prima di queste due parti vengono riportati i dati socio-economici degli infortuni da ricondurre al rischio di scivolamento e di caduta in piano;
  • nella seconda di queste due parti, invece, vengono analizzate le norme tecniche e le norme di prevenzione, che si trovano all’interno del Decreto Legislativo 81/2008.

Ed è proprio il Decreto Legislativo 81/2008 che analizzeremo nei paragrafi successivi, illustrandone la normativa e analizzandone la sua applicazione.

Rischio di caduta in piano sui luoghi di lavoro: che cosa dice la normativa

Il Decreto Legislativo 81/2008 è uno dei decreti legislativi che si occupano del fondamentale e imprescindibile tema della sicurezza sul lavoro: più nello specifico, questo particolare decreto norma il rischio di caduta in piano da scivolamento. Questo tema era già presente, però, all’interno del DPR n.303 del 1956, secondo cui era stabilito che i pavimenti presentassero (e presentino tuttora) condizioni tali da rendere sicuro il movimento e il passaggio delle persone e dei mezzi; questi ultimi, inoltre, devono essere fissi, stabili e anti-sdrucciolevoli e non devono presentare cavità, protuberanze o piani inclinati pericolosi; in ultimo, questi pavimenti non devono essere ingombrati da materiali che possano rappresentare un ostacolo per la circolazione.

Il rischio di caduta in piano sui luoghi di lavoro è, dunque, un rischio normato, che il datore di lavoro è tenuto ad analizzare e a valutare, all’interno del documento relativo alla valutazione dei rischi, per poter progettare e studiare degli idonei piani generali della sicurezza.

L’infortunio legato al rischio di caduta in piano sui luoghi di lavoro

Come abbiamo già anticipato nell’introduzione di questo articolo, le cadute in piano sui luoghi di lavoro sono una delle principali cause di infortunio: più nello specifico, rappresentano la terza causa di infortunio all’interno di tutti i settori produttivi.

Volendo approfondire ulteriormente il tema dell’infortunio legato al rischio di caduta sui luoghi di lavoro, va detto che le cadute in piano causano infortuni tendenzialmente molto gravi per cui i lavoratori sono costretti ad assentarsi dal lavoro per moltissimo tempo: più precisamente, la durata media delle assenze è di 38 giorni.

Questi dati sono riportati all’interno di uno studio realizzato dai professionisti dell’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro), all’interno del quale troviamo anche i dati relativi ai costi totali legati al rischio di caduta in piano sui luoghi di lavoro: questi costi ammontano ad un totale di circa 370 milioni di euro l’anno. Di questi 370 milioni di euro, più specificatamente circa 90 milioni sono legati a costi diretti e circa 273 milioni sono, invece, legati a costi indiretti.

Rischio di caduta in piano sui luoghi di lavoro: l’applicazione della normativa

E dal punto di vista pratico? Come si regolamenta l’applicazione della normativa?

Ad oggi, la valutazione del rischio di caduta in piano sui luoghi di lavoro viene fatta esclusivamente in quegli ambienti in cui questo rischio è a tutti gli effetti riconosciuto come rischio specifico: ma questo cosa significa? Questo significa che solamente alcuni ambienti di lavoro e le relative categorie di lavoratori possono contare su una valutazione dei rischi basta anche sul rischio della caduta in piano sui luoghi di lavoro.

In questi ambienti lavorativi, vengono studiati dei piani generali di sicurezza adatti, che vanno poi comunicati ai lavoratori. Più nello specifico, questi piani prevedono l’utilizzo di DPI (Dispositivi di Protezione Individuale), tra cui il principale sono senza dubbio le scarpe dotate di suola anti-scivolo.

Come abbiamo detto, però, quello di caduta in piano sui luoghi di lavoro è un rischio trasversale, che riguarda tutti i settori e i reparti lavorativi e produttivi: ecco perché è necessario estendere i piani generali di sicurezza a tutti i reparti e a tutti i settori, anche a quello del terziario.

Il tema del rischio di caduta in piano sui luoghi di lavoro è, dunque, un tema di primaria importanza, che va affrontato con serietà e attraverso i giusti mezzi.

Lavori usuranti: cosa dice la normativa in merito

Spesso si sente parlare di lavori considerati più faticosi, più pesanti e più gravosi per quanto riguarda lo stato di salute dei lavoratori. Per definire questa particolare tipologia di lavori, viene utilizzato il termine usuranti, una definizione che viene utilizzata anche all’interno della normativa e anche da enti fondamentali per il settore del lavoro, come l’INPS.

In questo articolo, ci occuperemo proprio di questo importante argomento, che tocca moltissimi lavoratori, i quali sono tenuti a conoscere i loro diritti in merito alla normativa vigente e alle loro pensioni. Scopriamo, dunque, che cosa sono e quali sono i lavori usuranti e analizziamo che cosa dice la normativa riguardante questo argomento.

Che cosa sono e quali sono i lavori usuranti

La definizione di lavori usuranti è riportata all’interno del Decreto Legislativo 374/1993, in cui ci si riferisce ad una particolare tipologia di lavoro per cui – citiamo testualmente – “”è richiesto un impegno psico-fisico particolarmente intenso e continuativo, condizionato da fattori che non possono essere prevenuti con misure idonee””.

Oltre a chiarire la definizione di questi lavori (per cui la sicurezza sul lavoro è costantemente messa a rischio), il Decreto Legislativo 374/1993 pone la sua attenzione ai motivi per cui i lavoratori che operano nel settore dei lavoratori usuranti abbiano diritto ad una diversa pensione rispetto a chi non svolge questi lavori: di questo, però, ci occuperemo nel prossimo paragrafo.

Un altro aspetto importante di questo Decreto Legislativo è la tabella in cui vengono elencati quali sono i lavori usuranti, che prevedono piani generali di sicurezza e una valutazione dei rischi differenti da quelli degli altri lavori e che sono i seguenti:

  • i lavori alle linee di montaggio;
  • i lavori notturni continuativi;
  • i lavori in cassoni ad aria compressa;
  • i lavori in galleria, in miniera o in cava;
  • i lavori da palombari;
  • i lavori in altezza;
  • i lavori in spazi ristretti;
  • i lavori svolti sul trattore;
  • i lavori a bassa temperatura;
  • i lavori ad alta temperatura;
  • i lavori di asportazione dell’amianto;
  • i lavori inerenti ai reparti di primo soccorso, di chirurgia d’urgenza e di rianimazione.

Da questo elenco, si può comprendere facilmente che i lavori usuranti spaziano all’interno di diversi settori, da quello dei reparti di medicina a quello delle linee di montaggio: quello che, però, tutti questi lavori hanno in comune è lo svolgimento di mansioni e di funzioni a dir poco delicate.

Per riassumere, potremmo dire che un lavoro è da considerare usurante se la persona che lo svolge rischia di esporsi ad agenti pericolosi (come, ad esempio, l’amianto), se lavora durante la notte, se sono sottoposti ad un carico di stress non indifferente e così via.

Che cosa dice la normativa circa i lavori usuranti

Ora che abbiamo definito cosa sono e quali sono i lavori usuranti, è il momento di comprendere che cosa dice la normativa circa questi lavori. Il Decreto Legislativo 374/1993, in questo senso, è stato un primo tentativo di regolamentazione dei lavori usuranti, il quale con il passare del tempo ha conosciuto diversi cambiamenti.

Questi cambiamenti si sono materializzati, nello specifico, con il più recente Decreto Legislativo 67/2011, all’interno del quale sono stati aggiunti alcuni lavori, che prima non erano presenti nella lista dei lavori usuranti. Questi lavori aggiunti sono i seguenti:

  • gli operatori ecologici;
  • facchini e gli addetti allo spostamento delle merci;
  • professori della scuola pre-primaria;
  • conduttori di grudi convogli ferroviari;
  • gli operai dell’ediliziadella manutenzione e dell’industria estrattiva;
  • conduttori di mezzi pesanti;
  • conciatori di pelle e di pellicce;
  • le professioni sanitarie con lavori strutturati secondo turni.

Oltre a riconoscere questi altri lavori come lavori usuranti, all’interno del Decreto Legislativo 67/2011 vengono stabiliti anche dei benefici per chi svolge questa tipologia di lavori, dal momento che spesso a causa di questi ultimi i lavoratori dichiarano un invecchiamento precoce e una qualità della vita piuttosto bassa. Per questo motivo, a questi lavoratori è riconosciuta una pensione di anzianità agevolata.

Ma come funziona e come può essere richiesta questa pensione di anzianità agevolata? Per richiedere questa agevolazione, innanzitutto, è necessario che il lavoratore faccia parte di una delle categorie che abbiamo elencato sino a questo momento. Questa richiesta deve poi essere presa in visione da una Commissione Tecnica, la quale ha il compito di studiare tutti i casi che si presentano, per comprendere se possono effettivamente ricevere questa agevolazione.

Per concludere, vogliamo parlare dell’APE sociale, una misura sperimentale introdotta dal governo che consiste in un’indennità mensile temporanea, che può essere corrisposta a chi svolge lavori usuranti, a patto che si siano raggiunti i 63 anni di età: chi presenta i requisiti necessari, può ricevere questa indennità fino al momento in cui non riceverà ufficialmente la sua effettiva pensione. Tra i requisiti necessari, abbiamo:

  • un contratto di lavoratore dipendente;
  • 63 anni di età;
  • 36 anni di contributi;
  • lo svolgimento di un lavoro usurante per almeno sei anni negli ultimi sette anni di lavoro o per almeno sette anni negli ultimi dieci anni di lavoro.

Sorveglianza sanitaria: cos’è e come funziona

Quando si parla di sicurezza sul posto di lavoro, spesso si sente parlare anche di sorveglianza sanitaria: ma che cosa è questa sorveglianza sanitaria? Con il termine sorveglianza sanitaria si intende tutta quella serie di operazioni e di esami eseguiti con l’obbiettivo di valutare e di tenere sempre sotto controllo la salute fisica e il benessere mentale di ogni singolo lavoratore e di verificare come quest’ultimo reagisca agli forzi lavorativi e all’esposizione ad eventuali rischi.

Per quanto riguarda le figure professionali necessarie alla sorveglianza sanitaria, non possiamo non menzionare l’importanza del Medico Competente, il quale si occupa – come analizzeremo nell’ultimo paragrafo – proprio di eseguire i vari esami svolti per la salvaguardia della salute di tutti i lavoratori; inoltre, per alcune specifiche tipologie di attività lavorativa (specialmente per quelle che più possono danneggiare la salute dei lavoratori), la sorveglianza sanitaria è resa obbligatoria: tutto questo e molto altro ancora è regolato da un Decreto Legislativo, più in particolare dal Decreto Legislativo 81 del 2008.

Scopriamo insieme nei prossimi paragrafi per quali tipologie di lavoro la sorveglianza sanitaria è obbligatoria e capiamo più nel dettaglio di che cosa si occupa il Medico Competente.

Quando la sorveglianza sanitaria è obbligatoria

Come dicevamo, il tema della sorveglianza sanitaria è regolato all’interno del Decreto Legislativo 81 del 1008. All’interno di questo articolo vi è un questo testo, chiamato Testo unico sulla salute e sulla sicurezza sul lavoro, il quale elenca quali sono i settori lavorativi in cui la sorveglianza sanitaria è obbligatoria: tutti i settori lavorativi elencati all’interno di questo Testo unico sono contraddistinti da una serie di rischi a cui i lavoratori sono esposti; proprio per questo motivo, cioè per garantire la sicurezza sul lavoro di questi dipendenti, la sorveglianza sanitaria nel loro caso è obbligatoria.

Elenchiamo, dunque, quali sono questi casi:

  • lavoro notturno;
  • lavoro in alta quota;
  • lavoro a contatto con impianti ad alta tensione;
  • lavoro in ambienti confinanti;
  • lavoro a rischio chimico;
  • lavoro che prevede la movimentazione manuale di carichi molto pesanti;
  • lavoro a rischio di rumore e a rischio di vibrazione;
  • lavoro a rischio di agenti biologici e a rischio di agenti cancerogeni;
  • lavoro a rischio di agenti fisici pericolosi (come il piombo, le radiazioni o l’amianto);
  • lavoro che prevede di trascorrere più di venti ore alla settimana al computer (come quello dei videoterminalisti).

La sorveglianza sanitaria obbligatoria va sempre rispettata in tutti questi casi che abbiamo elencato: chi non rispetta questo obbligo di sorveglianza sanitaria, infatti, è soggetto a sanzioni piuttosto pesanti, che possono prevedere un pagamento di multe da 1500 a 5000€ e, nei casi peggiori, anche un arresto che può variare tra i due ai quattro mesi di detenzione.

Il Medico Competente: qual è il suo ruolo per quanto riguarda la sorveglianza sanitaria

Abbiamo già nominato nell’introduzione di questo articolo il Medico Competente (anche detto Medico del Lavoro), il quale ha il compito – come abbiamo detto – di eseguire i vari esami a tutti i lavoratori, per verificare il loro stato di salute e per monitorarlo costantemente. Ma chi è questo Medico Competente?

Il Medico Competente è un esperto in medicina, più specificatamente in medicina del lavoro, che viene nominato direttamente dal datore di lavoro proprio per valutare quale sia la salute del lavoratore e per prescrivergli eventuali altri esami necessari per approfondire (qualora fosse necessario). Per fare tutto questo, il Medico Competente basa il suo operato sul documento di valutazione dei rischi, completato da chi di competenza, e su diversi sopralluoghi all’interno dell’ambiente lavorativo: tutto questo è utile a comprendere qual è la tipologia di attività del lavoratore, quali sono le sua attività maggiormente svolte e quali sono i rischi a cui è esposto. Una volta raccolte queste informazioni, il Medico Competente elabora quello che viene chiamato il protocollo sanitario, all’interno del quale indica i vari esami a cui sottoporre il lavoratore.

A seconda del protocollo sanitario, quindi, ci sono diverse visite mediche a cui il lavoratore può essere sottoposto. Queste visite mediche sono le seguenti:

  • visite mediche preventive, utili a valutare se il lavoratore è idoneo all’attività lavorativa da svolgere;
  • visite mediche periodiche, funzionali a tenere sempre e periodicamente sotto controllo lo stato di salute del lavoratore;
  • visite mediche per cambio mansione, le quali sono simili a quelle preventive, dal momento che il loro scopo è verificare l’idoneità a quella nuova mansione;
  • visite mediche su richiesta del lavoratore, previste specialmente se il lavoratore è spesso esposto a rischi o se ha notato un cambiamento nel suo stato di salute;
  • visite mediche per la ripresa del lavoro, da effettuare dopo 60 giorni di assenza per infortunio o per malattia professionale.

Una volta terminate queste visite, il Medico Competente ha l’ultimo compito di compilare una cartella sanitaria per ogni lavoratore, cartella che deve contenere: le condizioni di salute generale del lavoratore, i risultati delle visite eseguite dal Medico Competente stesso e il suo giudizio finale in merito all’idoneità del lavoratore rispetto alla mansione assegnatagli.