Coordinatore della Sicurezza: nomina e requisiti

Tra le figure principali per la sicurezza all’interno dei cantieri vi è il Coordinatore della Sicurezza. Si tratta di un soggetto che stabilisce una sorte di collegamento tra progettisti, committenti, ditte ed operai, cioè tutte le parti coinvolte all’interno di cantieri temporanei o mobili. Vista l’importanza del ruolo che ricopre, è necessario che il Coordinatore della sicurezza abbia seguito un corso di formazione e il relativo aggiornamento periodico, per mantenere la qualifica ed aggiungere competenze. Se mancano questi due requisiti, tale ruolo non può essere svolto.

Nominare il coordinatore è obbligatorio quando all’interno di un cantiere vi sia la presenza di più imprese esecutrici, anche se quest’ultime non si trovano a svolger il lavoro contemporaneamente. L’art. 90 del Testo Unico stabilisce che, in questi casi, sia un obbligo del Committente o del Responsabile dei lavori delegato procedere con la nomina dei Coordinatori dotati di requisiti professionali adeguati al ruolo.

Tra i requisiti essenziali atti a ricoprire il ruolo di coordinatore per la sicurezza, è necessario:

  • Laurea Magistrale classi LM-4, da LM-20 a LM-35, LM-69, LM-73, LM-74;
  • Laurea specialista classi 4/S, da 25/S a 38/S, 77/S, 74/S, 86/S con attestazione comprovante l’espletamento di attività lavorativa rilasciata da datori di lavoro o committenti;
  • Laurea nelle classi 8,9,10,4 con attestazione comprovante l’espletamento di attività lavorativa nel settore delle costruzioni per almeno 2 anni, rilasciato da datori di lavoro o committenti.
  • Diploma di geometra, perito industriale, perito agrario o agrotecnico con attestazione dell’espletamento di attività lavorativa nel settore delle costruzioni per almeno 3 anni.

Oltre a questi titoli, come abbiamo detto, è necessario che il soggetto sia in possesso dell’attestato di frequenza ai corsi di formazione in materia di sicurezza sul lavoro. Dopo aver superato il test di verifica finale, verrà rilasciato l’attestato che avrà una validità di cinque anni.

Le mansioni del Coordinatore per la Sicurezza

Le mansioni che un Coordinatore per la Sicurezza è tenuto a svolgere sono vari e si distinguono in base alla fase di pertinenza. Essenzialmente vengono distinti in:

  • Redigere il piano di coordinamento per la sicurezza, allo scopo di tutelare i lavoratori, pretendendo eventuali rischi che potrebbero danneggiare la loro salute. In questo caso si parlerà di Coordinatore della sicurezza in fase di Progettazione (CSP);
  • Monitorare l’andamento del progetto, cioè deve controllare se l’azienda e i lavoratori stiano seguendo appieno le regole previste nel piano del coordinamento per la sicurezza. In questo caso, invece, il coordinatore verrà identificatore come oordinatore della sicurezza in fase di Progettazione (CSE). Egli deve anche comunicare l’inadempienza all’ASL e alla direzione territoriale del lavoro nei casi in cui il committente o il responsabile dei lavori non adotti alcun provvedimento.

Queste funzioni possono essere svolte da due persone differenti o dalla stessa. L’unica differenza tra le due figure è che il Coordinatore della sicurezza in fase di Progettazione deve essere nominato nel momento in cui si affida l’incarico al progettisti, mentre il Coordinatore della sicurezza in fase di Esecuzione viene nominato nel momento dell’affidamento dei lavori ai realizzatori dell’opera.

Sebbene, il Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione (RSPP) deve essere sempre nominato e deve essere una figura presente all’interno di qualsiasi azienda con un diploma e una formazione adeguata, il coordinatore per la Sicurezza è una figura obbligatoria solo nei casi di cantiere edile con un titolo di studio affine al settore di competenza.

Chi nomina il Coordinatore per la sicurezza?

L’articolo 90 del Testo Unico sulla Sicurezza sul lavoro stabilisce che nei cantieri in cui è prevista la presenza di due o più imprese esecutrici, il committente o il responsabile dei lavori deve scegliere:

  • Il coordinatore per la progettazione contestualmente all’affidamento dell’incarico.
  • Il coordinatore per l’esecuzione dei lavori prima dell’affidamento dei lavori.

Inoltre, va precisato, che se in possesso dei requisiti previsti dalla legge, sia il committente che il responsabile dei lavori possono svolgere le funzioni di CSP e CSE.

Compreso quanto sia indispensabile questa figura all’interno di questa figura per prevenire i rischi di incidente all’interno di un cantiere, è bene ribadire quanto sia necessario non solo seguire il corso di formazione ma anche un corso di aggiornamento, ogni cinque anni, delle durata massima di 40 ore. Il corso di aggiornamento viene suddiviso in cinque moduli e ognuno verterà su diversi argomenti.

Il corso di formazione ha la durata di 120 ore, con un test finale sulle competenze acquisiti e il conseguente rilascio di un attestato di partecipazione. Mentre il corso di aggiornamento sarà di 40 ore e può essere seguito anche in modalità e-Learning.

Attestati di sicurezza: come riconoscere la validità

La sicurezza sul posto di lavoro è diventata, sopratutto negli ultimi anni, un tema di estrema importanza e su cui la Legge italiana ha emanato una precisa normativa con il D.Lgs. 81/2008, rinnovando la legge 626/1994, affinché i lavoratori venissero tutelati in maniera adeguata. Sono tante le aziende che offrono corsi sulla sicurezza sul lavoro con relativo rilascio dell’attestato. Tuttavia, può succedere che quest’ultimi siano falsi e quindi non validi.

L’attestato è un documento rilasciato da un’azienda o ente di formazione, dopo che il soggetto abbia terminato un percorso formativo sulla sicurezza sul lavoro. Lo scopo di tale documento è quello di certificare che la formazione del soggetto terzo è avvenuta secondo le disposizioni di Legge vigenti, a volte anche in relazione al superamento di una prova d’esame.

Ricordiamo che il Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro prevede che il lavoratore partecipi a questo tipo di corsi di formazione in base al livello di rischio della propria mansione. Per essere considerato valido a livello nazionale, gli attestati di sicurezza devono riportare le seguenti diciture:

  • I dati anagrafici del soggetto formatore;
  • Nome, cognome e codice fiscale del partecipante al corso;
  • Normativa di riferimento;
  • La tipologia di corso seguito, settore di appartenenza e indicazione della durata;
  • Il periodo e il luogo di svolgimento del corso;
  • Firma del responsabile del progetto formativo;
  • Numero (con seriale progressivo) dell’attestato;
  • Ad ulteriore conferma della loro validità, è riportato un QR code che indirizza a una pagina web di conferma.

Attestati falsi: quali sono i rischi?

Formare i propri lavoratori è sia un obbligo che un vantaggio per il datore di lavoro, in quanto avrà così a sua disposizione soggetti efficienti e preparati ad ogni evenienza per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda. In aggiunta di ciò, il corso contribuirà all’identificazione e alla prevenzione dei rischi sul posto di lavoro riducendo incidenti.

Può capitare, tuttavia, che all’interno di alcune aziende il datore di lavoro non offra alcuna formazione ai propri dipendenti e proceda all’acquisto di attestati falsi. I motivi ti tale comportamento, assolutamente sbagliato, possono essere vari: perchè non crede nella formazione, non vuole sottrarre tempo all’attività lavorativa quotidiana, non intende investire denaro in questi determinati corsi.

Ovviamente, come abbiamo visto, tale comportamento è errato e il datore di lavoro che accetta falsi attestati sulla Sicurezza sul Lavoro rischia diverse penali, tra le quali:

  • Arresto fino a quattro mesi e una multa di oltre cinque mila euro per violazione dell’obbligo di formazione prevista dalla Legge. Nel caso in cui la violazione di tale obbligo riguarda più di cinque lavoratori, gli importi saranno raddoppiati. Se i lavoratori non formati superano il numero dieci, gli importi verranno triplicati.
  • Il datore di lavoro rischia di essere denunciato e dovrà rispondere dei reati di lesione colposa o omicidio colposo, a seconda che da un incidente derivi una malattia grave o, nei casi peggiori, il decesso.
  • Il datore di lavoro può essere denunciato dalle autorità territorialmente competenti. La penale riguarda sia il datore di lavoro sia l’ente che ha rilasciato il certificato falso.
  • Le autorità competenti possono richiedere all’ente che ha emesso l’attestato una copia della documentazione per l’emissione della certificazione del percorso formativo.

Come riconoscere un attestato falso

La presenza di tanti corsi che offrono tali attestati, rende più difficile il compito di garantire la validità di un attestato. Negli ultimi anni, infatti, sono sempre più in aumento i casi di attestati veri ma fotocopiati e modificati: cambio dei dati anagrafici ma con gli stessi dati. In questo caso, un modo per verificare la validità dell’attestato in questione, è quello di controllare il numero di rifermento dell’ente che lo ha emesso. Se i dati anagrafici non risultato all’ente, allora si tratta di un falso.

Esistono diversi aspetti da tenere in considerazione per riconoscere se un attestato è vero o falso. Questi aspetti sono:

  • La denominazione dell’ente che ha erogato il corso;
  • I dati anagrafici del partecipante;
  • La normativa di riferimento a cui fa seguito l’obbligo di formazione;
  •  La tipologia di corso da seguire;
  •  La durata del corso;
  • Quando sono state seguite le lezioni;
  • La firma del responsabile dei corsi;
  • Il numero dell’attestato;

Questi sono tutti elementi che servono ad identificare se l’attestato sia riconosciuto legalmente. Dunque, è importante tenere conto di questi elementi affinché si possa riconoscere immediatamente un attestato falso.

Videosorveglianza sul posto di lavoro: quando si può installa

Con l’aumentare dei sistemi di sicurezza sia all’interno delle abitazione che nei luoghi di lavoro, è cresciuta l’installazione di sistemi di videosorveglianza. Sebbene possa sembrare una situazione positiva dal punto di vista della sicurezza sul lavoro, bisogna anche tener conto delle implicazioni che sono sorte negli ultimi anni. In particolare, le nuove tecnologie possono potenzialmente porre un forte controllo sull’attività lavoratori, ma anche sulla vita privata del lavoratore divenendo, in certi casi, strumenti invasivi che vanno a comprimere la privacy del soggetto filmato.

Quando si parla di videosorveglianza sul posto di lavoro, ci si riferisce anche a due elementi essenziali: la privacy e i diritti dei lavoratori, a cui si legano le rispettive normative. L’art. 4, comma 1, L. 300/70 prevede la possibilità per il datore di lavoro di poter installare in azienda degli impianti audiovisivi, per motivi di:

  • Sicurezza del patrimonio aziendale: tutelare l’azienda, al fine di evitare furti e rapine da parte dei dipendenti o da terzi;
  • Organizzazione e produzione: come la verifica sul funzionamento dei macchinari presenti o per l’accesso dei clienti o soggetti vari;
  • Sicurezza del lavoro: ad esempio aiutano a prevedere un soccorso tempestivo in caso di infortunio sul posto di lavoro, oppure a tenere sotto controllo l’attività nel caso il lavoratore si trovi in zone isolate ecc.

Tutto ciò significa che tali impianti di videosorveglianza non possono essere utilizzati per controllare l’attività svolta dai lavoratori oppure i luoghi adibiti alle pause pranzo. Pertanto, tali telecamere possono essere collocate all’esterno degli edifici, nei parcheggi e nelle vie di accesso o uscita, in prossimità di impianti pericolosi, attrezzatura e depositi di merce ecc.

Videosorveglianza in azienda: cosa dice la normativa

Quando si affronta il tema della protezione dei dati sensibili, la prima cosa da chiedersi, qualunque sia il contesto di riferimento, è chi sia il titolare del trattamento. Il trattamento dei dati personali mediante videosorveglianza si innesca con il principio di responsabilizzazione introdotto dal GDPR del 2016, ai sensi del quale il titolare del trattamento è responsabile delle scelte e delle azioni messe in campo (art. 5.2 GDPR) e deve darne conto a tutti i soggetti ai quali appartengono i dati trattati, nonché in determinati casi al Garante per la protezione dei dati personali e all’autorità giudiziaria.

Questo significa che ogni scelta presa ha una responsabilità. Si diventa, in sostanza, unico centro di imputazione per qualsiasi trattamento non a norma di legge. In questo caso specifico, quando si parla di installazione di sistemi di videosorveglianza all’interno delle aziende, oltre alle regole che coincidono con la tutela della privacy previste dal GDPR, vengono adottate anche delle regole a tutela del lavoratore.

L’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori pone il divieto generale del controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. “Le norme dello Statuto dei lavoratori poste a presidio della loro riservatezza non proibiscono i cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l’esistenza di un divieto probatorio”.

Videosorveglianza in azienda: la procedura

Affinché in azienda si possa procedere all’installazione delle videocamere di sorveglianza, è necessario che il datore di lavoro effettui una particolare procedura che si caratterizza di:

  • Una comunicazione preventiva alla Rappresentazione Sindacale Unitaria (RSU) o alla Rappresentanza Sindacale Aziendale (RSA). Il datore dovrà far sapere il luogo e le modalità dove vorrà procedere all’installazione delle telecamere. Se manca l’accordo con i sindacati oppure in azienda non è presente una rappresentanza sindacale, il datore di lavoro potrà procedere con una richiesta alla sede territorialmente competente dell’INL (Ispettorato Nazionale del Lavoro) corredata dagli estratti del DVR, dove si attesta che gli strumenti di controllo costituiti dalla videosorveglianza è misura necessaria e adeguata per ridurre i rischi incidenti sul posto di lavoro, a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
  • La nomina di un addetto: egli dovrà gestire i dati registrati dall’impianto di videosorveglianza al fine di tutelare adeguatamente la privacy di tutti coloro che verranno ripresi. È bene precisare che le immagini catturate saranno conservate per un massimo di 24 ore dalla rilevazione.
  • Una preventiva informazione: i lavoratori dovranno essere informati per tempo, tramite apposita segnaletica o firma di un documento.

Il mancato rispetto di queste procedure comporta l’inutilizzabilità dei filmati in un eventuale situazione di necessità, quali ad esempio il processo per licenziamento. In questi casi bisognerà produrre altre prove quali testimonianze documenti ed altro. Inoltre, la Corte di Cassazione, con sentenza n.3255/2020, ha stabilito che il datore di lavoro può decidere di utilizzare un impianto di videosorveglianza anche per reprimere comportamenti illegittimi da parte di un determinato lavoratore, soprattutto se mette a rischio il patrimonio aziendale.

Near Miss: il mancato infortunio che cos’è?

Con il termine inglese “Near miss” si vuol definire letteralmente “mancato sinistro” o “mancato incidente” ed in particolare riguarda un qualsiasi evento che sul posto di lavoro potrebbe generare un incidente o infortunio e quindi un danno per la salute del lavoratore. Dunque, il mancato infortunio è essenzialmente quello che si viene a determinare in situazioni improvvise ma senza conseguenze negative.

La norma UNI ISO 45001:2018 identifica come infortunio mancato, un incidente che non abbia causato lesioni o malattie, ma che possiede tutte le caratteristiche per essere considerata una situazione potenzialmente a rischio. Stando a quanto detto, sia l’analisi che la risoluzione dei potenziali rischi emersi dai near miss possono essere usati come potenziali dati per la prevenzione e la protezione dei lavoratori da aggiungere alle strategie di valutazione dei rischi.

È proprio su queste tematiche che l’Inail ha realizzato un documento dal titolo “Gestione degli incidenti procedura per la segnalazione dei Near Miss”, con l’obiettivo di incrementare la cultura della sicurezza nelle aziende. Scopriamo insieme, nel dettaglio, quali potrebbero essere le cause che determinano il verificarsi di tali eventi.

Quali sono le cause di un Near miss?

I fattori scatenanti che danno origine ai mancati infortuni possono essere vari e di natura diversa. Nel dettaglio, si possono distinguere tre categorie, ovvero:

  • Fattori legati alla gestione manageriale: mancato rispetto delle prescrizioni o procedure di lavoro;
  • Fattori legati all’organizzazione aziendale: causati da comportamenti pericolosi;
  • Fattori di natura immediata: sono determinati da carenze strutturali, tecniche e organizzative.

Per capire meglio da cosa può essere determinato un mancato infortunio, consideriamo un near miss nel campo dell’edilizia. Consideriamo un lavoratore che opera in altezza, ad esempio su un’impalcatura. Quest’ultimo durante la sua attività lavorativa, poggia un attrezzo su un piano di lavoro privo di protezione per la caduta. L’attrezzo in questione finisce per cadere accidentalmente dall’impalcatura ma, fortunatamente, non reca danni gravi ai lavoratori presenti. Questo è ciò che viene definito un mancato infortunio, perchè in circostanze più spiacevoli avrebbe potuto causare conseguenze ben più gravi se non addirittura letali.

Ovviamente, il campo dell’edilizia è solo un esempio dei tanti possibili settori in cui si potrebbe verificare un near miss. Purtroppo, i mancati incidenti sono all’ordine del giorno e possono accadere anche in ambienti e cantieri ritenuti a norma.

Mancato incidente: come gestirlo

Un mancato incidente può mettere in luce criticità improvvise sul posto di lavoro, in base a fattori di tipo organizzativo, comportamentale e tecnico. Sapere in cosa consistono i near miss permette di individuare le linee di azione da adottare per prevenire o ridurre gli infortuni sul lavoro, cercando così di evitare che tali situazioni possano ripresentarsi.

La procedura di segnalazione e analisi degli infortuni mancati avviene su base volontaria. La segnalazione è un obbligo del lavoratore, anche se il Testo Unico non prevede alcuna sanzione in caso di mancate segnalazioni, tuttavia ricordiamo che l‘articolo 20, comma 1, lettera e, sancisce che i lavoratori devono segnalare […] qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengono a conoscenza.

Pertanto, si tratta di un documento che serve a registrare e comunicare gli incidenti non dannosi con l’obiettivo di:

  • Raccogliere, analizzare e verificare gli incidenti sul posto di lavoro che riguardano il personale, gli appaltatori e gli strumenti, su cui l’azienda risponde in maniera giuridica con modulistica appropriata;
  • Valutare le situazioni di non conformità o criticità organizzative, tecniche e comportamenti che posso causare un possibile incidente sul posto di lavoro;
  • Garantire un’adeguata segnalazione con tempi di risposta brevi sia nella fase iniziale che in quella finale della segnalazione;
  • Individuare e applicare le giuste misure preventive.

Attraverso questo documento sarà possibile evidenziare le caratteristiche dell’evento potenzialmente dannoso. Gli elementi importanti da inserire all’interno di tale modulo sono: nome dell’azienda, dove si è verificato il mancato infortunio; la data e l’ora; la descrizione dell’evento e il potenziale rischio; le possibili cause e soluzioni. Per rendere effettivo il documento e assicurarsi che il mancato incidente possa non verificarsi più, è necessaria la partecipazione di tutte le componenti dell’impresa, affinché si possa avere dei feedback tempestivi e una condivisione delle problematiche.

Soggetti coinvolti nella gestione del near miss

Le figure coinvolte nella gestione del near miss possono essere suddivise in alcune categorie, che sono:

  • SCI cioè soggetto coinvolto nell’incidente, che può essere un dipendente dell’azienda o della ditta appaltatrice oppure un qualsiasi soggetto che in quel momento si trovava in prossimità del luogo dove è avvenuto il mancato infortunio;
  • LESI cioè il lavoratore che effettua la segnalazione che può essere il soggetto coinvolto o meno;
  • GRI- gruppo risoluzione incidenti suddiviso, a seconda del reparto coinvolto, da risorse umane (RU) e/o dirigente, da ufficio acquisti (UA) e ufficio tecnico (UT). Si occupa di valutare la risoluzione degli incidenti qualora il GRTVI non sia stato in grado di risolvere l’incidente in reparto e, conseguentemente, verifica la concreta efficacia delle soluzioni adottate;
  • GRTVI – gruppo di ricezione, trasmissione, valutazione degli incidenti: è composto da RSPP, RLS, preposto/dirigente e CSE nel caso di cantieri. Riceve la segnalazione dell’incidente, valuta e adotta le necessarie misure correttive;
  • DL – datore di lavoro: riceve le comunicazioni da parte del GRI e verifica l’efficacia delle soluzioni da adottare nel caso di incidente non risolvibile in reparto;
  • Incaricato: soggetto che non fa parte del GRTVI, riceve la segnalazione dal LESI e la comunica al GRTVI stesso, provvedendo poi alla registrazione e archiviazione dei documenti.

Valutazione Campi Elettromagnetici: stima dei rischi

La valutazione del rischio campi elettromagnetici (CEM) è uno strumento indispensabile per la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori esposti ai campi elettromagnetici sul posto di lavoro. A tale scopo, è necessario che venga effettuata una corretta valutazione attraverso alcuni elementi fondamentali come ad esempio il livello e il tipo di esposizione. Come da definizione del Testo Unico (articolo 207), si tratta di “campi magnetici statici e campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici variabili nel tempo, di frequenza inferiore o pari a 300 GHz”.

Essi si propagano, appunto, attraverso onde elettromagnetiche e pur essendo presenti – derivati da sorgenti naturali o create dall’uomo – non è possibile vederli ad occhio nudo. Dunque, una volta individuate le sorgenti da cui derivano questo onde, occorrerà capire quali possono essere gli effetti diretti e indiretti sulla salute dei lavoratori ed eseguire una stima dei rischi. Per prima cosa, per la valutazione è necessario individuare e suddividere le aeree in cui vi è un alto livello di esposizione ad onde elettromagnetiche, di modo da delimitarle e prevedere delle regole ben precide per impedire l’accesso ai soggetti fragili e a tutte le persone che lavorano in questi ambienti, a tutela della loro salute.

Cosa dice la Legge?

Dal punto di vista legislativo, il D.Lgs. 81/08 dedica tutto il Capo IV (Titolo VIII) alla “Protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a campi elettromagnetici”, e rappresenta uno dei punti di riferimento su questa tematica. Inoltre, va menzionata anche la “Guida non vincolante di buone prassi per l’attuazione della direttiva 2013/35/UE relativa ai campi elettromagnetici”, pubblicata dalla Commissione Europea.

A differenza del Testo Unico, questo non è un documento giuridicamente vincolante ma può sempre essere utilizzato dal datore di lavoro come supporto per capire le misure da adottare conformi alla normativa. Per quanto riguarda misura e valutazione dei campi elettromagnetici e procedure di valutazione all’esposizione, meritano di essere menzionate anche le norme tecniche. Tra le principali:

  • CEI EN 50499: “Procedura per la valutazione dell’esposizione dei lavoratori ai campi elettromagnetici”.
  • CEI 211-6: “Guida per la misura e per la valutazione dei campi elettrici e magnetici nell’intervallo di frequenza 0 Hz 10 kHz, con riferimento all’esposizione umana”;
  • CEI 211-7: “Guida per la misura e per la valutazione dei campi elettrici e magnetici nell’intervallo di frequenza 10 kHz – 300 GHz, con riferimento all’esposizione umana”.

Rischio CEM: quali sono i fattori da considerare?

I campi elettromagnetici possono essere generati da fonti naturali come ad esempio campi elettrici che si generano, appunto, in modo naturale in occasione di temporali o al campo magnetico terrestre. Oppure, da fonti artificiali cioè generati dall’uomo attraverso le antenne televisive, gli impianti per la rete fissa, mobile e radiofonica, dispositivi di rete elettrica, impianti per lavorazioni industriali e così via. Un campo elettromagnetico viene misurato attraverso la frequenza (Hz) che indica il numero di oscillazioni che l’onda elettromagnetica riesce a compiere in un secondo. In base a questo criterio, si possono distinguere diversi campi:

  • Elettrici e magnetici statici (0 Hz)
  • Elettrici e magnetici a frequenza bassa (fino a 300 Hz)
  • A frequenza intermedia
  • Elettromagnetici a radiofrequenza e microonde

Questa distinzione viene eseguita anche per capire quali possono essere le possibili conseguenze che i campi elettromagnetici hanno sulla salute e sulla sicurezza umana. Tra gli effetti nocivi distinguiamo quelli di natura cronica cioè a lungo termine, quindi quelli che possono manifestarsi anche dopo molto tempo e derivanti dall’esposizione per lunghi periodi anche se a livelli bassi; e quelli di natura acuta cioè a breve termine, manifestati a causa di una lunga esposizione. Riguardo quest’ultima è stato scientificamente dimostrato che si verifica solo in casi rari e sopra determinate soglie di esposizione. Tra i sintomi, possono verificarsi anomalie alla vista e disturbi a livello neurologico. Va precisato che i lavoratori esposti a questo tipo di campo devono per legge essere sottoposti ogni anno a sorveglianza sanitaria.

Misure di prevenzione del Rischio CEM

Secondo quanto previsto all’art. 209 (comma 4) del D.Lgs. 81/08, per la valutazione dei rischi sul campo elettromagnetico si deve tenete conto di alcuni parametri fondamentali, quali l’ndividuazione e classificazione del luogo e attrezzature da lavoro, di modo che si possa valutare il grado di esposizione di rifermento per i lavoratori. Infatti, sia i luoghi di lavoro che le attrezzature per essere considerati idonei devono rispettare i livelli di riferimento previsti dalla normativa. Una volta effettuato questa prima fase di valutazione e aver suddiviso le aree in base al livello di esposizione maggiore a quello di rifermento, bisognerà dividere ulteriormente lezione in:

  • Zona 0: se i livelli di campo magnetico sono a norma e quindi rispettano il limite consentito. In questo caso, l’accesso sarà libero a tutti i lavoratori, compresi i soggetti più fragili e i minori.
  • Zona 1: se i livelli di campo elettromagnetico superano quelli consentiti per la popolazione, ma comunque sono rispettati i limiti occupazionali. Possono accedere a questa zona solo gli addetti incaricati.
  • Zona 2: se i livelli di esposizione superano quelli consentiti. L’accesso a questa area sarà vietata a chiunque, a meno che non siano state prese specifiche misure di prevenzione e protezione.

Attrezzatura da lavoro: la valutazione dei rischi

Negli ultimi anni, si è riposta molta attenzione sulla sicurezza sul posto di lavoro, con l’obiettivo di ridurre i rischi, comportamenti e atteggiamenti errati a tutela della salvaguardia e protezione dei lavoratori. Inoltre, nel campo della sicurezza, molto importanti sono le attività di manutenzione delle attrezzature. Quando il datore di lavoro di trova a dover scegliere l’attrezzatura consona alle attività dell’azienda deve effettuare una valutazione dei rischi, tenendo conto delle:

  • Condizioni e caratteristiche del lavoro da svolgere;
  • I rischi presenti sull’ambiente di lavoro;
  • I rischi proveniente dall’uso non corretto delle attrezzature stesse;
  • I rischi derivanti dal malfunzionamento delle attrezzature in uso.

Per fare ciò, il datore di lavoro tiene conto dei diversi pericoli rispetto al ciclo di vita dell’attrezzatura, il suo funzionamento e i limiti d’uso da parte di persone diverse in base al sesso, capacità fisica, età, manodopera d’impiego ed esperienza e formazione. Per un’attrezzatura di lavoro marcate CE, che siano conformi alle specifiche disposizioni legislative, una parte della valutazione dei rischi è stata effettuata prima di essere messa in commercio dal fabbricante che, attraverso la dichiarazione di conformità, garantisce il rispetto di tutti i requisiti di sicurezza. Nel Testo Unico sulla Sicurezza (in particolare nell’art. 73 del D. Lgs. 81/2008) è specificato come per l’utilizzo di alcune attrezzature da lavoro sia obbligatoria una specifica abilitazione. Sarà compito dell’azienda e del datore di lavoro affiancare un tot di ore di formazione per i dipendenti addetti all’utilizzo di apposite apparecchiature, garantendo l’accesso a corsi formativi riconosciuti, per ricevere certificati e patentini abilitativi. In particolare, tra le molte attrezzature, viene richiesta l’abilitazione degli operatori per l’utilizzo in cantiere di:

  • Macchine movimento terra
  • Piattaforme di lavoro elevabili (PLE)
  • Gru mobili, a torre, per autocarro
  • Pompe idrauliche
  • Carrelli elevatori e muletti
  • Trattori
    Attraverso una corretta formazione teorica, i dipendenti addetti all’utilizzo di attrezzature in cantiere saranno in grado di intervenire nei casi di emergenza e pericolo, ma anche di valutare la criticità dell’accaduto nel rispetto della salute di tutti i lavoratori presenti.

Cosa dice la Legge?

Nell’articolo 15 del Decreto si evidenza come tra gli obblighi per un azienda e il datore di lavoro vi sia anche quella di fare una scelta ergonomica delle attrezzature di lavoro. Tale concetto viene ribadito nell’art 20, dove tra gli obblighi dei lavoratori si ricorda come questi debbano “utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro” puntualizzando che queste siano conformi. Nel Titolo III, si fa una distinzione sull’uso delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, suddividendoli in 3 Capi che sono:

  • Capo I: I soggetti che utilizzano le attrezzature di lavoro devono avere sia i requisiti di sicurezza, sistemi di controllo e manutenzione, ma anche formazione e addestramento;
  • Capo II: Dispositivi di Protezione Individuale, in cui vengono illustrati i criteri per un loro corretto utilizzo;
  • Capo III: Impianti elettrici, in cui vengono definiti i rischi di natura elettrica e gli obblighi da parte del datore di lavoro nei confronti dei lavoratori riguardo la formazione, sicurezza e conformità degli impianti di lavoro sotto tensione.

Alcuni esempi di attrezzatura da lavoro

Per evitare infortuni sul posto di lavoro è fondamentale utilizzare alcuni dispositivi di protezione, quali:

  • Guanti da lavoro: per mansioni di tipo meccanici, elettrici, termici sarà necessario indossare guanti robusti che siano resistenti ai tagli, abrasioni, perforazioni. Devono essere della propria taglia e cambiati periodicamente.
  • Scarpe antinfortunistiche: esistono tre tipologie, distinguibili in calzature di sicurezza che devono essere resistenti alla caduta di un peso di 20 kg all’altezza di un metro; calzature di protezione come quelle di sicurezza ma resistenti alle cadute del peso da mezzo metro; infine, calzature da lavoro che non presentano la punta rinforzata ma sono comunque resistenti e antiscivolo.
  • Occhiali protettivi: devono essere comodi e leggeri, resistere agli urti e alle alte temperature. Servono a chi svolge attività dove vi è presenza di gas o altri agenti chimici, esposti ad agenti radioattivi.
  • Maschera per proteggere le vie respiratorie: esistono due categorie di maschere che sono quelle con filtro per proteggersi da polvere, gas e altre sostanze nocive; i respiratori isolanti che vengono usati quando c’è poco ossigeno oppure vi è un’alta presenza di far o vapori inquinanti. È necessario che la maschera aderisca perfettamente al viso, che il fritto periodicamente venga sostituito e che siano conservate in un ambiente asciutto e pulito;
  • Cuffie e tappi antirumore: il rumore spesso può provocare danni all’udito. Per questo, durante l’orario di lavoro è importante indossare dei dispositivi che proteggano l’orecchio ma che non impediscano di udire i segnali e suoni di emergenza. I dispositivi da usare vengono scelti in base alle frequenze di rumore a cui sono esposti che sono le cuffie che, solitamente, coprono rumori fino a 150db; gli inserti che coprono fino a 95db; i caschi, invece, coprono fino a 105db e sono realizzati con materiali resistenti per garantire un buon livello di protezione.

Coordinatore per la Sicurezza: cosa fa?

I lavori che vengono svolti in un cantiere edile sono tanti, come tante sono le mansioni che un dipendente svolge. In situazioni del genere, organizzare il lavoro in sicurezza e valutare i rischi può diventare difficile. Proprio per evitare problemi di questo genere e tutelare la sicurezza di tutti i lavoratori, è previsto in cantiere la presenza di una figura chiamata Coordinatore per la Sicurezza. Il suo compito è quello di prevenire i rischi all’interno del cantiere edile. È un professionista che, su incarico del responsabile dei lavori e del committente, coordina le imprese impegnate nei lavori in cantiere con lo scopo di pianificare le corrette misure atte a ridurre il livello di rischio per la sicurezza e salute dei lavoratori. Il coordinatore svolge due ruoli importanti per la sicurezza in cantiere:

  • Progettazione dei lavori (CSP): redige il piano di coordinamento per la sicurezza, un documento che serve ad analizzare gli aspetti legati ad eventuali rischi che il lavoratore potrebbe incorrere durante la sua attività. La redazione di tale documento è obbligatoria. L’omessa redazione è punibile dalla legge con l’arresto da 3 a 6 mesi o una multa da 3.000 a 12.000 euro. In questa fase, dovrà inoltre predisporre un fascicolo con all’interno informazioni utili sulla prevenzione e protezione dai rischi cui sono esposti i lavoratori.
  • Fase esecutiva (CSE): monitora l’andamento dei lavori, controllando che sia i lavoratori che l’azienda stiano applicando le regole prefissate all’interno del piano di coordinamento per la sicurezza. Nello specifico, deve controllare l’idoneità del piano operativo di sicurezza (POS), organizzare e coordinare le attività di lavoro. Inoltre, deve segnalare al committente o al responsabile dei lavori eventuali negligenze da parte del lavoratore, proponendo la sospensione dei lavori se lo ritiene necessario, l’allontanamento del lavoratore dal cantiere e nei casi più gravi, la risoluzione del contratto. Infine, dovrà sospendere ogni attività in caso di pericolo grave fino a quando non verranno effettuati i sopralluoghi e adeguamenti necessari.

Per poter ricoprire il ruolo di Coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione (CSP) è necessario essere in possesso di una laurea in ingegneria o in architettura o geologia, con esperienza di almeno un anno nel settore delle costruzioni. Invece, per il ruolo di Coordinatore in fase di esecuzione (CSE) è richiesto il diploma di geometra o perito industriale o agrario, unitamente ad un’esperienza di almeno tre anni nel settore delle costruzioni.

Coordinatore per la Sicurezza e RSPP: la differenza

Un’altra figura importante per garantire un ambiente di lavoro a norma e sicuro è il Responsabile del Servizio Prevenzioni e Protezione (RSPP), il cui compito è quello di garantire la tutela e sicurezza dei lavoratori, prevenendo le situazioni che potrebbero essere rischiose durante le attività di lavoro in azienda. Insieme al datore di lavoro al medico competente, al rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, l’RSPP deve redigere il documento Valutazione dei Rischi (DVR) contenente tutte le informazioni utili per la salvaguardia della salute e sicurezza del lavoratore, preparare un piano emergenza e pianificare delle riunione periodiche di aggiornamento.

Dunque, qual è la differenza tra coordinatore per la sicurezza e RSPP?

  • Il Coordinamento per la Sicurezza è una figura obbligatoria solo nei casi di lavoro in cantiere edile. È necessario possedere un titolo di studio inerente al settore in cui dovrò operare;
  • Il RSPP deve essere una figura sempre presente in azienda, a prescindere di quale sia il settore di cui l’azienda si occupa. Per ricoprire il ruolo, è necessario un diploma di istruzione secondaria unito ad un’adeguata formazione e continuo aggiornamento.

Le competenze e le conoscenze del RSPP devono essere adeguate al ruolo che ricopre, anche tenendo in considerazione i rischi e le aggravanti delle diverse attività lavorative dell’azienda. Inoltre, il coordinatore per la sicurezza deve essere in possesso di attestato di frequenza dei corsi sicurezza sul lavoro, con verifica dell’apprendimento e rispettare gli obblighi di aggiornamento quinquennali previsti dalla Legge.

L’attestato di frequenza non è richiesto per coloro che non sono più in servizio, ma che hanno svolto attività tecnica in materia di sicurezza nelle costruzioni, per almeno 5 anni, in qualità di pubblici ufficiali o di incaricati di pubblico servizio e per coloro che producano un certificato universitario attestante il superamento di un esame relativo ad uno specifico insegnamento del corso di laurea nel cui programma siano presenti i contenuti minimi previsti nell’Allegato XIV del dlgs 81/2008 o l’attestato di partecipazione ad un corso di perfezionamento universitario i cui programmi e le relative modalità di svolgimento siano conformi all’Allegato XIV. L’attestato inoltre non è richiesto per coloro che sono in possesso della laurea magistrale LM-26.

Di chi è la responsabilità in caso di infortunio sul lavoro?

Quando in generale si parla di infortunio, inteso come malattia, è importante precisare che lo Stato Italiano garantisce e protegge la salute di tutti i cittadini, anche in merito al settore lavorativo. In particolare nell’art.32 della Costituzione, la salute viene inserita tra i diritti fondamentali che un soggetto può esercitare, cioè quelli che l’ordinamento giuridico considera inviolabili e che garantisce e protegge.

Nei casi dove, un lavoratore durante la sua attività lavorativa si fa male, procurandosi delle lesioni che provocano l’impossibilità a svolgere l’attività lavorativa, si parlerà di infortunio sul posto di lavoro. L’incapacità di svolgere una determinata mansione a causa dell’infortunio, può essere di due tipi: permanente e temporanea. In questi casi, l’azienda deve per Legge tutelare tutti i lavoratori, garantendo l’assicurazione INAIL cioè l’ente che si occupa di assegnare uno stipendio a tutti i soggetti che, in seguito ad infortunio, non possono più recarsi a lavoro. L’INAIL coprirà le spese, tutelando così i lavoratori. La figura chiave che ha l’obbligo di garantire e far osservare determinate regole di sicurezza sul lavoro è il datore di lavoro.

Egli organizza tutte le attività di lavoro e i vari ruoli che ogni lavoratore dovrà ricoprire e le relative mansioni. Contemporaneamente dovrà preoccuparsi di salvaguardare la loro integrità psicofisica, eliminando o riducendo al minimo tutto ciò che potrebbe causare loro dei danni. Per farlo, non basteranno cartelli e segnalazioni di pericolo. Il datore di lavoro ha l’obbligo di verificare che il comportamento dei suoi dipendenti è il linea con le regole di sicurezza dell’azienda. Per tale ragione, al datore di lavoro vengono attribuiti due compiti essenziali: fornire una corretta informazione sulle norme di sicurezza e il relativo addestramento e assicurarsi che tali norme antinfortunistiche vengano rispettate.

Diverse forme di rischio

Esistono diverse forme di rischio, non tutti però sono tutelati. Nei casi in cui un soggetto, sul posto di lavoro, assume un comportamento sconsiderato ed esagerato tanto da provocare un infortuno, non è prevista tutela. Tra le varie forme di rischio, distinguiamo:

  • Ambientale: i lavoratori svolgono determinate mansioni protette e quindi sono esposti allo stesso tipo di rischio
  • Tipico: relativo all’attività assegnata
  • Generico: non dipende dalle condizioni di lavoro
  • Generico aggravato: un rischio che tutti i cittadini possono incorrere, ma aggravato da ulteriori circostanze
  • Elettivo: provocato da un comportamento scorretto da parte del dipendente. In questi casi, si parla di comportamenti “abnormi” cioè azioni che non possono essere né evitate né controllate.

Insieme al datore di lavoro, anche i dirigenti e i preposti organizzano le attività svolte dai lavoratori. In particolare, il datore dovrà adempiere all’obbligo di verifica dei vari macchinari di lavoro e strumentazione di modo che non presentino alcun rischio per la salute ed integrità del lavoratore. Se ad esempio, un macchinario presenta malfunzionamenti non basta apporre un cartello per segnalare il guasto, ma bisognerà assicurarsi che non venga utilizzato. Questo si affianca a quanto detto prima, cioè che l’azienda è tenuta ad informare e formare i suoi dipendenti circa i pericoli che possono insorgere in un uso scorretto dei macchinari e attrezzature.

Risarcimento danni

La previsione di un sistema di tutela in favore del lavoratore infortunato trova oggi la sua copertura nell’art. 38 della Costituzione, il cui il comma 2 stabilisce che “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio…” mentre il comma 4 prevede che “Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”. Come abbiamo sottolineato, il datore di lavoro ha l’obbligo di assicurare in azienda massima sicurezza. In caso di infortunio sul posto di lavoro, si dovrà effettuare una valutazione in merito alle responsabilità.

In base a questa valutazione, verrà stabilito se da parte dell’azienda il lavoratore avrà diritto ad un risarcimento danni. I dipendenti per contratto devono essere coperti dall’assicurazione in caso di infortunio. Tuttavia, può succedere che gli incidenti vengano causati da aggravanti che dipendono dalla responsabilità del datore di lavoro come quella di non esser riuscito a predisporre un ambiente di lavoro a norma. In questi casi, l’azienda dovrà garantire un risarcimento in denaro all’infortunato. Il risarcimento viene considerato legittimo se la responsabilità è, appunto, del datore di lavoro che non ha rispettato gli obblighi di sicurezza; oppure quando il danno non rientra tra quello già indennizzato dall’INAIL (danno ulteriore).

Si procederà, dunque, ad un’azione legale in cui il dipendente infortunato dovrà dimostrare il nesso di causalità tra condotta dell’azienda e danno subito. Mentre, il datore di lavoro dovrà dimostrare di aver compiuto tutti i suoi dovere e di aver garantito la sicurezza sul posto di lavoro. Quindi, dimostrare che l’infortunio sia stato provocato da una distrazione del lavoratore. In ogni caso, la quota del risarcimento viene stabilita in base a quella già pagata dall’INAIL, calcolata in base a dei parametri specifici. Può succedere che l’infortunio si verifichi a causa di un comportamento “abnorme” da parte del dipendente, cioè azioni che sono del tutto incontrollate e non prevedibili. In questi casi, l’azienda non dovrà pagare alcun risarcimento.

Sanificazioni Ambientali CoronaVirus COVID19

Sanificazioni Ambientali per CoronaVirus a Torino

L’azienda AMEF ci ha informato di essere in grado di svolgere l’attività di disinfezione e Sanificazione ambientale secondo il protocollo contro il COVID19 cosiddetto Coronavirus.

sanificazioni ambientali torino
Sanificazioni ambientali torino

Al fine di incentivare ed agevolare le aziende ad effettuare la Sanificazione degli ambienti di lavoro, il decreto CURA-ITALIA ALL’ART. 64 PREVEDE UN CREDITO D’IMPOSTA PARI AL 50% DELLE SPESE DI SANIFICAZIONE DEGLI AMBIENTI FINO AD UN MASSIMO DI € 20.000,00.

L’azienda AMEF assicura la pulizia con prodotti disinfettanti a base di cloro ed alcool e/o la disinfezione e la sanificazione ambientale dell’aria mediante AEROSOLIZZAZIONE di un disinfettate a base di Sali Quaternari di ammonio oppure di un disinfettante a base di cloro (nell’eventualità ci siano stati casi positivi) e la sanificazione periodica dei locali, degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni e di svago.

Nel caso di presenza di una persona con COVID-19 all’interno dei locali aziendali, si procede alla pulizia e sanificazione dell’area secondo le disposizioni della circolare n. 5443 del 22 febbraio 2020 del Ministero della Salute, nonché alla ventilazione dei locali. Va garantita la pulizia a fine turno e la sanificazione periodica di tastiere, schermi touch, mouse, con adeguati detergenti, sia negli uffici, sia nei reparti produttivi. Sanificazione definizione o Sanificazione significato, tutto questo ha poco senso se non viene fatta con processi davvero efficaci e con prodotti non nocivi per l’ambiente.

Questa particolare tipo di pulizia deve essere affidata ad un’impresa attrezzata, di nebulizzatori adatti proprio alla Sanificazione, che potrà intervenire in ogni ambiente che lo necessita.

L’impresa A.ME.F MULTISERVICE S.R.L. è in possesso di tutti i requisiti tecnici previsti dal D.M. 7 LUGLIO 1997, N. 274 e si avvale di collaboratori con esperienza PLURIENNALE.

Per info e preventivi 377.4390414 oppure amef.multiservice@gmail.com

Ricordiamo che la sanificazione ambientale propedeutica al ritorno alle attività è una misura caldamente consigliata dalle fonti governative, proprio in quanto diminuisce sensibilmente il rischio di contagio indiretto da superfici contaminate che potrebbe essere presente nei vostri locali.

INAIL parte il sistema CIVA

Applicativo Civa : Servizi telematici di certificazione e verifica

Dal 27 maggio 2019 è disponibile l’applicativo CIVA per la gestione informatizzata di servizi di certificazione e verifica.

Con la circolare n. 12 del 13 maggio 2019 si comunica che, a decorrere dal 27 maggio 2019, l’Inail mette a disposizione dell’utenza l’applicativo CIVA per la gestione informatizzata dei seguenti servizi di certificazione e verifica:

  • denuncia di impianti di messa a terra
  • denuncia di impianti di protezione da scariche atmosferiche
  • messa in servizio e immatricolazione delle attrezzature di sollevamento
  • riconoscimento di idoneità dei ponti sollevatori per autoveicoli
  • prestazioni su attrezzature di sollevamento non marcate CE
  • messa in servizio e immatricolazione degli ascensori e dei montacarichi da cantiere
  • messa in servizio e immatricolazione di apparecchi a pressione singoli e degli insiemi
  • approvazione del progetto e verifica primo impianto di riscaldamento
  • prime verifiche periodiche.

Pertanto, a partire dal 27 maggio 2019, tali servizi di certificazione e verifica devono essere richiesti esclusivamente utilizzando il servizio telematico Civa.

Gli ulteriori servizi di certificazione e verifica appartenenti al gruppo GVR- per esempio messa in servizio cumulative di attrezzature a pressione, riparazione, taratura valvola- dovranno essere richiesti utilizzando la modulistica presente sul portale con invio tramite posta elettronica certificata (Pec).

CIVA
CIVA INAIL

CIVA

consente lo scambio in tempo reale di informazioni tra l’utente richiedente il servizio e il personale dell’Unità operativa territoriale INAIL di competenza attraverso lo strumento della Pec.

A tal fine si invita a verificare la correttezza e l’eventuale aggiornamento dell’indirizzo Pec dedicato indispensabile per le comunicazioni che l’applicativo invia e riceve.

Con l’avvio del servizio telematico CIVA, cambiano anche le procedure di pagamento delle prestazioni richieste. Il sistema “PagoPa” mette infatti a disposizione diversi canali, come home banking e PayPal, e consente l’abbinamento immediato della somma pagata con il servizio erogato. Grazie a un’apposita funzione presente sull’applicativo, sarà comunque possibile inserire un pagamento già effettuato attraverso i canali tradizionali durante il periodo di passaggio al nuovo sistema.

CIVA
CIVA INAIL

Per accedere al servizio on line è necessario essere registrati al portale Inail e accedere utilizzando uno dei profili a disposizione, ai quali è stato aggiunto quello di “consulente per le attrezzature e impianti”.

In caso di assistenza e supporto per accedere e utilizzare i servizi online e per approfondimenti procedurali è disponibile nell’area “Supporto” del portale il servizio “Inail risponde”, il manuale e la consultazione delle faq.

È inoltre possibile rivolgersi al Call o Contact center Inail al numero 066001, dal lunedì al venerdì dalle ore 9.00 alle ore 18,00, accessibile sia da rete fissa sia da rete mobile, secondo il piano tariffario del gestore telefonico di ciascun utente.

CIVA
CIVA

Con l’avvio del servizio telematico Civa, cambiano anche le procedure di pagamento delle prestazioni richieste. Il sistema “PagoPa” mette infatti a disposizione diversi canali, come home banking e PayPal, e consente l’abbinamento immediato della somma pagata con il servizio erogato. Grazie a un’apposita funzione presente sull’applicativo, sarà comunque possibile inserire un pagamento già effettuato attraverso i canali tradizionali durante il periodo di passaggio al nuovo sistema.

Fino al completamento del processo per la gestione online delle prestazioni di certificazione e verifica, ulteriori servizi, come la messa in servizio cumulativa di attrezzature a pressione, riparazione e taratura valvole, dovranno essere richiesti utilizzando i moduli disponibili sul portale, da inviare tramite posta elettronica certificata.

l nuovo applicativo messo a disposizione dall’Inail consente di richiedere on line i servizi più significativi, tra cui l’immatricolazione e la messa in servizio, relativi a impianti e attrezzature. Una parte residuale dei servizi sarà oggetto di un secondo rilascio. Le richieste per queste prestazioni, al momento, vanno inoltrate via posta elettronica certificata.

Fonte : INAIL – Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro