Differenze tra smart working e lavoro agile

Specialmente dopo la pandemia del Covid-19, per moltissimi settori è stata definita e integrata la modalità di lavoro da remoto: nonostante, però, siano ormai più di due anni che sentiamo parlare di questa specifica modalità di lavoro, c’è ancora molta confusione su questo argomento.

Telelavoro, work form home, lavoro flessibile, lavoro agile e smart working: queste sono tutte le diverse tipologie di lavoro da remoto, tra i quali i limiti e le differenze non sembrano essere ben definite sia per i datori di lavoro sia per i lavoratori stessi. Sembra erroneamente, infatti, che questi termini siano tra di loro inter-scambiabili, quasi sinonimi: in realtà non è così; esistono moltissime differenze, che determinano le diversità tra questi lavori da remoto.

In questo articolo, concentreremo la nostra attenzione su due di queste tipologie, cioè lo smart working e il lavoro agile, che sono sempre più diffusi tra i lavoratori, che per molto tempo hanno desiderato (specie quando possibile nel proprio settore) di lavorare da casa: avere piena conoscenza del significato di questi termini, quindi, è utile per i lavoratori, ma anche per chi si occupa di stilare i contratti e di decidere la modalità di lavoro da somministrare (compito che, solitamente, spetta alle risorse umane).

Ciò che sappiamo fino ad ora, quindi, è che lo smart working e il lavoro agile sono sempre più diffuse, ma quali sono le differenze tra queste due tipologie di modalità di lavoro da remoto? Scopriamolo nei seguenti paragrafi, in cui attraverso la spiegazione di queste due modalità capiremo quali sono queste differenze.

Che cosa è lo smart working: definizione e caratteristiche

Iniziamo, quindi, dalla definizione e dalle caratteristiche dello smart working.

La nascita dello smart working è da collocare negli Stati Uniti d’America; solamente dopo qualche anno, questa modalità di lavoro si è diffusa anche in Europa, nel nostro continente. Essendo nato in America, il termine smart working è ovviamente inglese, ma può essere tradotto in italiano con l’espressione lavoro intelligente: ma che cosa significa più nello specifico?

Lo smart working può essere definito come quella modalità di lavoro da remoto per cui non è necessaria la presenza fisica del lavoratore, che può svolgere la sua mansione da qualunque luogo preferisca: da un ufficio, dalla propria casa, da un laboratorio di co-working, da una biblioteca e così via. Lo stesso vale per gli orari di lavoro, che sono molto più flessibili e che dipendono dalle preferenze del lavoratore. C’è, però, un aspetto essenziale da non trascurare quando si parla di smart working: il lavoratore deve avere a disposizione tutta la strumentazione necessaria per poter svolgere il suo lavoro da dove desidera.

Oltre ad offrire numerosi vantaggi per i lavoratori, lo smart working rappresenta anche una grande opportunità per i datori di lavoro, i quali (come abbiamo visto durante la pandemia) in caso di emergenza non sono costretti ad interrompere completamente l’attività dell’azienda, ma possono sfruttare lo smart working per fare in modo di continuare a produrre. Tutto questo deve essere fatto senza tralasciare, però, il tema della sicurezza sul lavoro, importantissimo anche per chi lavora da remoto e per cui vengono stilate nuove analisi di valutazione dei rischi e nuovi piani generali di sicurezza.

Che cosa è il lavoro agile: definizione e caratteristiche

Una volta determinato il significato e le caratteristiche dello smart working, passiamo ad analizzare la definizione e le caratteristiche del lavoro agile. In realtà, secondo il MIUR (acronimo che significa Ministero dell’Istruzione) non esiste alcuna differenza tra smart working e lavoro agile: pare, semplicemente, che lavoro agile sia un sinonimo di smart working.

Il lavoro agile, quindi, ha le stesse caratteristiche dello smart working, le quali possono essere determinate principalmente da un notevole livello di flessibilità, specialmente per quanto riguarda i seguenti aspetti:

  • flessibilità per quanto riguarda il luogo di lavoro dove svolgere la propria attività;
  • flessibilità per quanto riguarda gli orari di lavoro, che possono essere stabiliti dal lavoratore stesso;
  • flessibilità per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro, da stabilire in piena autonomia.

Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, quello dell’organizzazione del lavoro, esistono tre livelli di flessibilità, che determinano tre diverse tipologie di lavoro agile.

  • Lavoro agile autonomo, che è la tipologia più flessibile tra le tre, in quanto consente al lavoratore di organizzarsi in maniera completamente autonoma.
  • Lavoro agile para-subordinato, che è meno flessibile rispetto a quello autonomo, in quanto il lavoratore viene coordinato dal committente di lavoro.
  • Lavoro agile subordinato, che è la tipologia meno flessibile, in quanto il lavoratore è completamente sotto la direzione del datore di lavoro.

Un aspetto che non abbiamo ancora sottolineato del lavoro agile è l’accordo che deve esserci tra il datore di lavoro e il lavoratore: infatti, il lavoro agile deve permettere al lavoratore di avere a disposizione una modalità lavorativa che concili la propria vita privata con quella lavorativa, che possa incrementare la propria produttività (aspetto che rappresenta un vantaggio anche per il datore di lavoro) e che possa aumentare e favorire la propria crescita professionale.

Come sono collegati il tema della questione di genere e il tema della sicurezza sul lavoro

Il tema della sicurezza sul lavoro è sicuramente uno dei più importanti per quanto riguarda il settore lavorativo e tutti gli ambienti lavorativi, di qualunque tipologia essi siano: è necessario che l’attenzione venga catalizzata ogni giorno di più su questo fondamentale argomento, che comprende aspetti essenziali come per esempio il ruolo delle nuove tecnologie, l’importanza dei dispositivi di protezione per i lavoratori, l’inquinamento che segue dalle svariate scelte prese in questo settore e via dicendo.

Un aspetto su cui, fino ad ora, è stata dedicata troppa poca attenzione, però, è il collegamento tra il tema della sicurezza sul lavoro e il tema della questione di genere: questo collegamento non è certo da trascurare, anche sulla base dell’analisi dei dati INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) che sono emersi, i quali dimostrano che questo collegamento esiste e necessita di essere studiato e affrontato.

Ci siamo da poco lasciati alle spalle il 25 novembre, la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, e anche per questo motivo ci è sembrato necessario ed opportuno affrontare questa spinosa ma fondamentale tematica, dal momento che il luogo di lavoro non è sempre un posto sicuro, sia dal punto di vista della sicurezza e della salute fisica sia dal punto di vista del benessere psicologico e mentale, specialmente per le donne lavoratrici. Analizziamo, dunque, nei prossimi paragrafi, il rapporto che c’è tra le donne lavoratrici e gli infortuni sul posto di lavoro e quello che c’è tra le donne lavoratrici e l’insorgere di malattie professionali.

Donne lavoratrici e infortuni

I dati INAIL a cui facevamo riferimento poco fa sul tema della sicurezza sul lavoro riportano dei risultati molto chiari: sembrerebbe, infatti, che le donne lavoratrici subiscano più infortuni rispetto ai lavoratori uomini. Ulteriori dati, inoltre, farebbero emergere che le lavoratrici subiscono maggiormente questi infortuni in determinati settori lavorativi in cui sono principalmente più impiegate, tra cui abbiamo:

  • i settori domestici e familiari, all’interno del quale le donne lavoratrici prestano servizio in qualità di colf e badanti;
  • il settore manifatturiero, all’interno del quale le donne lavoratrici operano tendenzialmente nel confezionamento degli articoli di abbigliamento;
  • il settore commerciale e il settore dell’amministrazione pubblica, in cui vi è una maggioranza di donne lavoratrici;
  • il settore della assistenza sociale e il settore della sanità.

Proprio rispetto a quest’ultimo settore nominato, quello della sanità, si può affermare che nel corso della pandemia di Covid-19, le donne lavoratrici non solo sono state quelle più colpite a livello economico, ma anche a livello di contagi: si stima, infatti, che sulle 300mila denunce di infortunio legate a questo virus (probabilmente dovuti ad una errata valutazione dei rischi e a dei conseguentemente errati piani generali di sicurezza), circa il 68% fossero denunce di donne lavoratrici. Questo dato è facilmente spiegabile ed è sicuramente dovuto al fatto che vi sia una prevalenza di donne lavoratrici nei settori che hanno gravitato intorno al Covid-19, tra cui abbiamo sicuramente quello socio-sanitario.

Sempre per quanto riguarda gli infortuni subiti dalle donne lavoratrici, bisogna prestare attenzione anche a quelli causati da aggressioni sul lavoro, che riguardano il 5% delle denunce di infortunio: questa percentuale, però, potrebbe non essere totalmente veritiera, dal momento che non tutte le donne lavoratrici denunciano questo tipo di aggressioni. Anche in questo caso, gli infortuni sono abbastanza settoriali e riguardano principalmente i settori sanitari e assistenziali, che vengono seguiti dal settore dell’insegnamento, da quello delle impiegate postali fino ad arrivare al settore delle pulizie professionali.

In ultimo, a prescindere dal settore lavorativo, invece, bisogna che l’attenzione venga concentrata anche sui cosiddetti incidenti in itinere, ovvero quelli che si verificano nel tragitto tra casa e posto di lavoro e viceversa: i dati rispetto a questi incidenti ci presentano una percentuale femminile del 23%, contro una percentuale maschile del 12%. Nonostante, infatti, le donne siano tendenzialmente più prudenti alla guida rispetto agli uomini, questa maggiore percentuale può essere spiegata dal sovraccarico che le donne vivono nella propria vita, dovuto all’intreccio della vita lavorativa con quella personale e familiare.

Donne lavoratrici e malattie professionali

Dal punto di vista delle malattie professionali, quelle denunciate dalle donne lavoratrici rappresentano circa la metà di quelle denunciate dagli uomini lavoratori: a fare eccezione, però, sono i disturbi psichici e comportamentali. Questi ultimi, infatti, dal punto di vista delle denunce fatte da donne lavoratrici superano (anche se di molto poco) quelle degli uomini lavoratori.

La maggior parte delle malattie professionali denunciate dalle donne lavoratrici, inoltre, sono quelle legate all’apparato muscolo-scheletrico, che si aggirano intorno al 72% e sono collegate principalmente al settore manifatturiero. Un altro dato importante, riguarda l’età media in cui le donne lavoratrici e gli uomini lavoratori denunciano le loro malattie professionali, che coincidono nei 54 anni per le donne e nei 57 anni per gli uomini.

Stress da lavoro correlato: cosa è e da cosa deriva

Lo stress da lavoro correlato è una problematica relativa ai dipendenti e al lavoro, che è in costante e determinante crescita. Ma qual è la definizione dello stress da lavoro correlato? Una definizione di questa problematica ce la dà l’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro), il quale definisce lo stress da lavoro correlato come uno stress legato alle attività lavorative, che si manifesta quando le capacità del lavoratore non sono commisurate all’ambiente lavorativo (o almeno questa è la percezione del lavoratore).

La definizione che l’INAIL ha dato dello stress da lavoro correlato causa, però, qualche problematicità: infatti, sembra che all’interno dello stress da lavoro correlato vengano considerate solamente quelle patologie dovute a fattori di costrittività lavorativa, tagliando fuori tutte quelle derivanti dalle dinamiche relazionali che si instaurano con i datori di lavoro o con i colleghi, le quali sono considerate più comuni e non strettamente connesse con il lavoro.

Inoltre, lo stress da lavoro correlato non rientra nelle categorie delle malattie professionali o delle malattie correlate al lavoro, ma può comunque causare diversi problemi sia di salute psichica sia di salute fisica, specialmente quando dura nel tempo.

Ma quali sono le cause e i sintomi dello stress da lavoro correlato? E come si può eseguire una corretta valutazione del rischio in questo senso? Scopriamolo nei prossimi paragrafi.

Lo stress da lavoro correlato: quali sono le cause e i sintomi

Lo stress da lavoro correlato, specialmente negli ultimi anni, ha destato l’interesse di molti studiosi, soprattutto di quelli esperti nell’ambito della salute e della sicurezza sul lavoro. Attraverso gli studi condotti da questi esperti, si è giunti a comprendere quali possano essere le eventuali cause e gli eventuali sintomi del disturbo dello stress da lavoro correlato.

Iniziamo ad elencare quali potrebbero essere le cause responsabili dello sviluppo dello stress da lavoro correlato. Queste cause, più specificatamente, possono essere divise in due grandi categorie: i fattori relativi al contesto lavorativo e i fattori relativi al contenuto lavorativo.

fattori relativi al contesto lavorativo sono tutti quei fattori collegati alla relazione che l’individuo lavoratore ha con l’organizzazione del lavoro e sono i seguenti:

  • le relazioni interpersonali sul posto di lavoro, che possono tradursi in isolamento, difficoltà a relazionarsi con il proprio superiore, mancanza di rapporti e di supporto sociali, conflitti tra colleghi e così via;
  • la possibilità di una crescita di carriera, che spesso si definisce come una mancanza di evoluzione nella carriera, una mancanza di retribuzione adeguata e una sensazione di insicurezza del proprio impiego;
  • il ruolo del lavoratore, il quale potrebbe sentirsi responsabile per altre persone e il quale potrebbe riscontrare una certa ambiguità di ruolo;
  • il rapporto di interfaccia tra famiglia e lavoro, secondo cui le preoccupazioni derivanti dal proprio contesto familiare influiscono anche sulla propria situazione e organizzazione lavorativa.

fattori relativi al contenuto lavorativo, invece, sono tutti quei fattori collegati alla natura e alle caratteristiche del lavoro. Tra questi, abbiamo:

  • l’orario di lavoro, che può essere molto faticoso e stressante, specie quando organizzato su più turni lavorativi;
  • il carico e il ritmo di lavoro, che può definirsi sovraccarico o sottocarico;
  • l’ambiente e le attrezzature di lavoro, che possono essere di qualità insufficiente (in questo caso, ci si riferisce all’illuminazione, alla ventilazione, alle condizioni igienico-sanitarie e così via).

Per quanto riguarda i sintomi, si dividono in sintomi a livello aziendale e sintomi a livello personale.

sintomi a livello aziendale spesso si traducono in assenteismo generale, problemi di natura disciplinare, episodi di violenza all’interno dell’ambiente lavorativo, scarsa produttività e aumento delle malattie e degli infortuni professionali.

sintomi a livello personale, invece, riguardano maggiormente l’individuo lavoratore e possono toccare la sua sfera emotiva, quella fisiologica e quella comportamentale.

Lo stress da lavoro correlato: la valutazione del rischio

La valutazione dei rischi dello stress da lavoro correlato è essenziale per fare in modo di prevenire le cause scatenanti di questo disturbo, che deve essere combattuto anche mediante la progettazione di vari piani generali di sicurezza.

Concentrandoci sulla valutazione dei rischi per quanto riguarda lo stress da lavoro correlato, è necessario analizzare le quattro fasi di cui si compone.

  • La prima fase è quella propedeutica e consiste con la preparazione e l’organizzazione delle varie attività da svolgere durante la valutazione dei rischi.
  • La seconda fase è quella della valutazione preliminare, il cui scopo è quello di valutare la presenza di episodi sentinella;
  • La terza fase è quella della valutazione approfondita, durante la quale vengono raccolte le esperienze e le percezioni dei lavoratori. Questa fase risulta necessaria solamente nel caso in cui, durante la valutazione preliminare, si sia effettivamente verificata la presenza di episodi sentinella;
  • La quarta e ultima fase è quella della pianificazione degli interventi, attraverso cui verranno studiati e progettati i vari interventi da fare, al fine di evitare che il rischio dello stress da lavoro correlato possa diffondersi.

Le patologie più frequenti sul posto di lavoro

Purtroppo, negli ultimi anni, è stato registrato un notevole incremento di patologie legate al lavoro e al posto di lavoro di tantissimi lavoratori dipendenti: questo dato è il risultato di un grande aumento, in tutti i settori lavorativi del nostro Paese, delle denunce di malattie professionali e di malattie correlate al lavoro.

Questo aumento delle denunce è dovuto essenzialmente a due fattori:

  • da una parte, le numerose iniziative promosse dall’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) sono riuscite nello scopo di sensibilizzare sia i lavoratori sia i datori di lavoro in merito alle malattie professionali e alle malattie correlate al lavoro;
  • dall’altra parte, l’entrata in vigore di nuove tabelle ha permesso di classificare nuove malattie professionali e correlate al lavoro, che prima non rientravano in questa categoria.

Il risultato di questi due fattori messi insieme è stato, appunto, l’aumento delle denunce da parte dei lavoratori, alcuni dei quali hanno anche effettuato delle denunce plurime, che hanno a loro volta aumentato il conteggio delle malattie professionali e delle malattie correlate al lavoro.

Ma quali sono le patologie più frequenti sul posto di lavoro, quelle che rappresentano la maggior parte di queste denunce?

  • Al primo posto, si trovano le malattie osteo-articolari e muscolo-tendinee, che rappresentano circa il 60% delle denunce complessive. Tra queste malattie, le più diffuse sembrano essere le tendiniti e le affezioni dei dischi intervertebrali.
  • Dopo queste malattie, troviamo l’ipoacusia da rumore, una condizione dovuta all’esposizione al rumore per lunghi periodi di tempo. L’ipoacusia da rumore è principalmente diffusa tra i lavoratori che utilizzano macchinari molto rumorosi, come per esempio i metalmeccanici, i marmisti e i lavoratori del legno.
  • Dopo l’ipoacusia da rumore, ci sono le malattie da asbesto, provocate a causa dell’esposizione dei lavoratori all’amianto, definito come sostanza tossica e di cui è stata vietata la produzione, il commercio e la lavorazione.
  • In ultimo, abbiamo le malattie respiratorie, come l’asma bronchiale e l’alveolite allergica, che colpiscono l’apparato respiratorio e che sono causate dall’inalazione o dall’ingerimento di sostanze nocive che possono trovarsi nell’aria (come per esempio le vernici, le plastiche, composti chimici e organici e così via). Le malattie respiratorie colpiscono maggiormente i lavoratori del settore industriale, che spesso entrano in contatto con le sostanze che abbiamo elencato.

Le patologie più frequenti sul posto di lavoro: quali sono le definizioni

Nello scorso paragrafo, abbiamo spesso fatto riferimento alle categorie delle malattie professionali e delle malattie correlate al lavoro. Ma quali sono le definizioni di queste due categorie di malattie, così importanti per quanto riguarda il tema della salute e della sicurezza sul lavoro? E in che cosa si distinguono?

Le malattie professionali sono quelle malattie che hanno trovato la loro causa scatenante nell’esposizione a fattori di rischio fisico, chimico o biologico all’interno del luogo di lavoro. Per questo motivo, le norme nazionali si riferiscono alle malattie professionali come a quelle malattie risultanti dall’esposizione ai fattori di rischio nei luoghi di lavoro. Inoltre, le malattie professionali prevedono che sia riconosciuto un risarcimento, nel caso in cui sia evidente un collegamento tra lo sviluppo della malattia e il luogo di lavoro.

Le malattie correlate al lavoro, invece, sono quelle malattie che sono causate o aggravate da fattori ambientali presenti sul luogo di lavoro. Fanno parte di questa categoria tutte quelle malattie le cui cause sono molto complesse e tutte quelle malattie che sono causate dalla combinazione di fattori professionali (legati, quindi, alla posizione lavorativa) e di fattori non professionali (non legati, quindi, alla posizione lavorativa).

Le patologie più frequenti sul posto di lavoro: quali sono le eventuali cause scatenanti

Le eventuali cause scatenanti delle patologie più frequenti sul posto di lavoro sono molteplici e diverse e dipendono, soprattutto, dallo stato di salute del lavoratore e da quale sia la sua posizione lavorativa. Quello che è certo, però, è che tutte le malattie che abbiamo elencato prima (malattie osteo-articolari e muscolo-tendinee, ipoacusia da rumore, malattie da asbesto e malattie respiratorie) spesso vengono causate o peggiorate proprio dal lavoro.

Per evitare che le malattie professionali e le malattie correlate al lavoro si scatenino o si aggravino, è necessario che le aziende progettino dei piani generali della sicurezza, elaborati sullo studio approfondito della valutazione dei rischi. All’interno di questi rischi, infatti, devono essere analizzate le cause scatenanti di queste malattie, che potrebbero essere le seguenti:

  • le sostanze pericolose, come per esempio gli agenti chimici, organici o biologici, le quali possono condurre allo sviluppo di un tumore;
  • i fattori fisici, tra cui menzioniamo le vibrazioni, il rumore, il lavoro sedentario e il sollevamento manuale, che possono favorire lo sviluppo di molteplici patologie;
  • le radiazioni, che comprendono sia quelle del sole sia quelle dei vari macchinari utilizzati sul posto di lavoro;
  • fattori psicologici, come per esempio lo stress derivato da turni lavorativi piuttosto faticosi.

Inquinamento dell’aria: i rischi che corrono i dipendenti

Quando si parla di lavoro e di sicurezza sul luogo di lavoro, spesso si pensa ai dispositivi di protezione da utilizzare, agli infortuni e alle varie malattie professionali, agli agenti atmosferici e inquinanti che influiscono sulla salute dei lavoratori che lavorano all’aperto: troppo poco spesso, però, si pensa che anche nei luoghi di lavoro al chiuso (come per esempio gli uffici, i bar, i ristoranti, le fabbriche e via dicendo) la qualità dell’aria possa essere davvero scarsa e inquinante e possa causare eventuali danni alla salute dei dipendenti.

Nei luoghi di lavoro al chiuso, infatti, c’è spesso un viavai di moltissime persone (per esempio, come dicevamo, nei bar e così via), siano essi clienti o siano essi dipendenti: per questo motivo e per preservare la salute di tutti, è necessario che la qualità dell’aria non sia né inquinata né scarsa, ma che permetta di entrare e di lavorare in un posto in cui l’aria sia pulita e salubre.

Nei prossimi paragrafi di questo articolo, ci dedicheremo alla comprensione di quali siano le sostanze responsabili dell’inquinamento dell’aria e cercheremo di capire quali possano essere le soluzione per rendere la qualità dell’aria migliore per chiunque sia costretto a respirarla.

Ma, prima di dedicarci a tutto questo, quali sono gli effetti e i rischi che corrono i dipendenti? Respirare aria contraddistinta da una bassa qualità può avere effetti sul livello della qualità del lavoro, la quale rischia di essere ridotta proprio a causa dell’aria viziata, che provocherebbe irritabilità, deconcentrazione e disagio generali. Inoltre, la scarsa qualità dell’aria può portare anche a più seri problemi di salute, tra cui abbiamo:

  • la tosse;
  • l’arrossamento e l’affaticamento degli occhi;
  • il mal di testa;
  • la sensazione di vertigine e di nausea.

Con il tempo, questi sintomi che potrebbero apparire come leggeri possono in realtà causare problemi di salute anche più gravi, come la diffusione di forme allergichedifficoltà al livello dell’apparato respiratorio.

Ecco perché è necessario garantire la salubrità dell’aria all’interno dei luoghi di lavoro al chiuso, iniziando con l’analisi di quelli che possono essere gli agenti inquinanti responsabili di una scarsa qualità dell’aria.

Inquinamento dell’aria: quali sono le sostanze responsabili di questo inquinamento

Erroneamente, spesso si è portati a pensare che l’inquinamento dell’aria nei luoghi di lavoro al chiuso derivi in gran parte dall’esterno, da cui entrano pollini, gas di scarico, anidride carbonica e via dicendo; in realtà, secondo i diversi studi condotti sul tema della sicurezza sul lavoro, molti degli agenti inquinanti che si trovano all’interno dei luoghi di lavoro al chiuso derivano proprio da fonti interne. Con fonti interne si intendono: gli occupanti, cioè le persone che frequentano abitualmente il posto; i materiali da costruzione; gli agenti micro-biologici.

Gli occupanti, come dicevamo, sono tutte le persone (e anche gli animali) che frequentano quel luogo di lavoro: più sono le persone presenti in quello stesso ambiente, più ci sarà la possibilità che la qualità dell’aria sia parecchio scarsa ed inquinata. Questo inquinamento è dovuto all’alta concentrazione di anidride carbonica e di contaminanti biologici, come per esempio la pelle, i capelli e le goccioline di saliva emesse durante i colpi di tosse o gli starnuti.

materiali da costruzione sono anch’essi inquinanti, in quanto c’è la possibilità che rilascino sostanze chimiche, come per esempio le vernici, i residui di prodotti per la pulizia o di prodotti derivanti dagli strumenti da lavoro (colle, solventi, stampanti e fotocopiatrici in funzione).

Gli agenti micro-biologici, in ultimo, sono rappresentati in larga parte dalle muffe, che si formano sulle superfici delle pareti a causa dell’umidità e della scarsa areazione dell’ambiente e che il più delle volte non sono nemmeno visibili, ma ugualmente pericolose.

Inquinamento dell’aria: quali sono le soluzioni per migliorare la qualità dell’aria

Per apportare delle soluzioni che vadano a migliorare la qualità dell’aria, è necessario effettuare una seria valutazione dei rischi e, a seguito di questa, occorre procedere con lo studio e la progettazione dei piani generali di sicurezza.

Oltre a questo, è possibile seguire qualche accorgimento al fine di rendere o di mantenere l’aria sempre salubre all’interno del luogo di lavoro. Ecco quali sono questi semplici e piccoli accorgimenti.

  • Arieggiare gli ambienti più volte al giorno: la frequenza ideale sarebbe quella di aprire finestre e porte almeno dieci minuti ogni due ore, per contribuire al ricircolo dell’aria. Questa abitudine deve essere seguita a prescindere dalla stagione e, quindi, le finestre vanno aperte anche nelle giornate più fredde di inverno.
  • Abbassare il termostato di qualche grado: sempre nei mesi più freddi, è necessario abbassare il termostato di qualche grado, dal momento che all’interno degli ambienti molto caldi e molto umidi le muffe e i batteri hanno una maggiore capacità di proliferazione.
  • Sanificare gli ambienti: in ultimo, sanificare gli ambienti permette di eliminare definitivamente batteri, muffe e tutte le sostanze nocive presenti nell’aria. Per questo motivo, la sanificazione va eseguita con una certa frequenza e una certa periodicità.

Che cosa comporta l’esposizione all’amianto

Nel momento in cui stiamo scrivendo questo articolo, l’amianto – in quanto sostanza tossica – è stato vietato all’interno di qualunque luogo di lavoro, dal momento che questa sostanza può essere respirata se presente nell’aria e può anche essere ingerita se sciolta nell’acqua.

Ma come si è arrivati a tutto questo? Prima che l’amianto diventasse una sostanza vietata, moltissimi lavoratori hanno messo a rischio la loro salute inalando e ingerendo particelle di amianto, prestando il loro servizio nei settori di estrazione e di lavorazione dell’amianto; questi lavoratori non sono stati gli unici ad essere esposti a questo pericolo, in quanto l’amianto poteva essere respirato anche durante la vita non strettamente lavorativa, venendo a contatto con materiali che presentavano particelle di amianto. Inoltre, anche se è vero che ormai la sostanza dell’amianto è stata vietata per qualunque utilizzo, rimane altrettanto vero che ancora oggi abbiamo (purtroppo) la possibilità e il rischio di entrare a contatto con questa sostanza tossica, a causa dell’esistenza di prodotti che ancora non sono stati né sostituiti né smaltiti correttamente.

Ma da cosa dipende la pericolosità dell’amianto? In buona sostanza, dipende dalle dimensioni del diametro e della lunghezza delle sue particelle: le più pericolose sono quelle più piccole, contraddistinte da un diametro di 0,015 millimetri e da una lunghezza che va dai 0,8 ai 0,2 millimetri, le quali sono definite respirabili e possono penetrare all’interno delle vie respiratorie; le particelle più grandi, invece, sono considerate meno pericolose, dal momento che non riescono a penetrare all’interno delle vie respiratorie e si fermano nelle vie aeree superiori, cioè il naso e la trachea.

Prima di capire che cosa comporta l’esposizione all’amianto sulla nostra salute, capiamo nel dettaglio che cosa sia l’amianto nel prossimo paragrafo.

Che cosa è l’amianto

Prima di definire l’amianto come sostanza tossica, è necessario comprendere come si sia arrivati a questa definizione. L’amianto è una sostanza formata dall’insieme di minerali naturali fibrosi, i quali a loro volta sono composti da sostanze cosiddette silicati, unite a vari metalli (come il ferro, l’alluminio, il calcio e via dicendo).

Il termine amianto deriva dal greco amiantos, che significa incorruttibile; sempre dal greco deriva anche l’altro modo con cui ci si riferisce all’amianto, cioè asbesto, il cui termine derivante greco asbestos significa inestinguibile: sono proprio queste le due caratteristiche dell’amianto che lo hanno portato ad essere così incredibilmente diffuso ed utilizzato, la sua incorruttibilità e la sua inestinguibilità. Le particelle di amianto, infatti, sono famose per la loro flessibilità e la loro leggerezza, che conferisce alla sostanza una particolare resistenza al fuoco, al calore e alle varie sostanze chimiche: queste ulteriori caratteristiche hanno influito molto sull’utilizzo spasmodico che si è fatto di questa sostanza, soprattutto per quello che riguarda il settore delle costruzioni.

Per mezzo dell’amianto, infatti, per anni sono stati costruiti e realizzati materiali di copertura e di pavimentazione (cioè soffitti e pavimenti), materiali di isolamento termico, tute destinate all’utilizzo degli operai, tubi per il deposito o il passaggio dell’acqua e così via. Tutto questo è durato fino al 1994, anno in cui la Legge n. 257 ne ha vietato l’estrazione, il commercio e la produzione: da questo momento in poi, il nostro paese, il quale era uno dei più grandi e più famosi produttori di amianto, ha conosciuto una evoluzione mai vista prima.

Quali sono gli effetti dell’esposizione all’amianto sulla salute

Dal 1994, molti sono stati gli studi e i progetti portati avanti per quanto riguarda il rapporto tra l’esposizione all’amianto e la sicurezza sul lavoro: quelli principali hanno riguardato gli effetti di questa esposizione sulla salute dei lavoratori esposti a questa sostanza.

Come abbiamo detto, le particelle responsabili di eventuali effetti sulla salute sono quelle respirabili, cioè le più piccole, che possono penetrare nelle vie respiratorie più profonde, causando infiammazioneispessimento delle pareti respiratorie, che portano ad una fibrosi polmonare: questa fibrosi limita notevolmente le capacità respiratorie, tramutandosi in condizioni come l’enfisema, la pleurite e l’insufficienza respiratoria; tutto questo può dare vita a tumori di diversa tipologia, tra cui menzioniamo i più diffusi, cioè quelli legati ai polmoni.

Per questo motivo, nel corso degli anni, è stato effettuato un gran numero di valutazione dei rischi e sono stati progettati altrettanti piani generali di sicurezza, al fine di contrastare tutte queste condizioni patologiche derivanti dall’esposizione all’amianto e che manifestano i seguenti sintomi:

  • dispnea, cioè un affaticamento a respirare, sia a riposo sia dopo uno sforzo fisico;
  • dolore al torace;
  • in ultimo, come dicevamo, insufficienza respiratoria e anche cardiaca.

Tutti questi sintomi devono essere trattati tempestivamente, dopo aver ottenuto una diagnosi di questa condizione: la terapia, purtroppo, non consente di eliminare le patologie derivanti dall’esposizione all’amianto, ma consente di non aggravare i sintomi già presenti e di rallentare l’avanzamento della patologia. In questo senso, funzionano tutti i medicinali che hanno come funzione quella di migliorare le capacità respiratorie (ciò i bronco-dilatatori) e funzionano anche i vari vaccini anti-influenzali, che tengono lontane la varie infezioni polmonari. In ultimo, è necessario non entrare più a contatto con le particelle di amianto e smettere di fumare (qualora si tratti di un paziente fumatore).

Industria mineraria: le misure di sicurezza adatte

L’industria mineraria è una attività legata al settore estrattivo: i lavoratori di questo settore sono ben coscienti di svolgere mansioni ad alto rischio e di mettere, quindi, a rischio ogni giorno la loro sicurezza e la loro salute.

L’importante tematica della sicurezza e della salute nei lavori riguardanti il settore estrattivo è regolamentato da tre diverse e fondamentali norme di legge, che sono:

  • il Decreto del Presidente della Repubblica del 9 aprile 1959, n. 158;
  • il Decreto Legislativo del 25 novembre 1996, n. 624;
  • il Decreto Legislativo del 9 aprile 2008, n. 81.

Di queste tre norme di legge, quella a cui faremo più riferimento è senza dubbio la seconda, datata 1996, in quanto, letteralmente, “”prescrive le misure per la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori nelle attività estrattive di sostanze minerali“”. All’interno di questa particolare ed importante norma di legge, si trovano quindi tutte le normative riguardanti la prevenzione di eventuali infortuni e di eventuali malattie professionali, legate proprio all’esecuzione di questo tipo di attività lavorativa.

Per saperne di più su tutto ciò che concerne le misure di sicurezza adatte e studiate per l’industria mineraria, continuate a leggere questo articolo.

La valutazione dei rischi all’interno dell’industria mineraria

Importantissima, dal punto di vista della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, è la valutazione dei rischi all’interno dell’industria mineraria. Attraverso questa valutazione dei rischi, infatti, è possibile prevedere quali sono i rischi che i lavoratori corrono, svolgendo le diverse mansioni a lui affidate.

Per il settore estrattivo e per l’industria mineraria, la valutazione dei rischi prende il nome di Documento di Sicurezza e Salute (meglio noto attraverso il suo acronimo DDS), all’interno del quale sono raccolte, appunto, le informazioni relative ai vari ed eventuali rischi. Questo Documento di Sicurezza e Salute, inoltre, deve rispettare ulteriori regole e normative e, cioè, deve:

  • riportare le misure e le modalità operative per la gestione della sicurezza sul lavoro, durante le varie attività estrattive;
  • essere aggiornato costantemente, seguendo le eventuali modifiche e gli eventuali aggiornamenti dei luoghi di lavoro, modifiche ed aggiornamenti che potrebbero portare all’origine di nuovi potenziali rischi per i lavoratori. Inoltre, il Documento di Sicurezza e Salute deve essere aggiornato anche a fronte di sfortunati casi di incidenti o di infortuni.

Ma chi si occupa di scrivere il Documento di Sicurezza e Salute? Questo compito spetta al datore di lavoro, il quale, prima di redigere il Documento di Sicurezza e Salute, si avvale della collaborazione del Servizio di Prevenzione e di Protezione e della collaborazione di medici del lavoro. Non basta, però, che il datore di lavoro rediga questo Documento di Sicurezza e Salute: il DSS necessita, successivamente, la verifica e la supervisione di altre figure professionali, quali il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (meglio noto come RSPP), i sorveglianti sanitari e i rappresentanti dei lavoratori. Infine, il Documento di Sicurezza e Salute viene sottoscritto dal direttore responsabile.

I piani generali di sicurezza all’interno dell’industria mineraria

Oltre al Documento di Sicurezza e Salute, per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro dell’industria mineraria, giocano un ruolo fondamentale anche i piani generali di sicurezza.

All’interno di questi piani generali di sicurezza s trovano le varie misure da adottare per ridurre al minimo o per eliminare completamente i rischi legati alle attività estrattive. Tra queste misure, menzioniamo le principali, che sono:

  • l’impiego di adeguate attrezzature di sicurezza, le quali servono a prevenire eventuali incidenti ed infortuni;
  • la protezione in caso di incendi, che includono anche i mezzi di evacuazione e di salvataggio studiati appositamente per i lavoratori di questo settore;
  • sistemi di comunicazione, di avvertimento e di allarme, nel caso in cui si sia in presenza di un pericolo e sia necessario avvertire le opportune autorità o, semplicemente, sia necessario avvertire i propri colleghi;
  • le esercitazioni di sicurezza, utili a comprendere i comportamenti da avere e gli accorgimenti utili in caso di infortunio o di pericolo;
  • i criteri per l’addestramento in caso di emergenza, che si collegano alle esercitazioni di sicurezza, in quanto sono utili a far capire ai lavoratori come comportarsi in caso di bisogno;
  • le organizzazione del servizio di salvataggio, utile nel caso in cui i lavoratori si trovassero in pericolo e avessero necessità di essere, appunto, salvati;
  • i comandi a distanza in caso di emergenza, da conoscere alla perfezione nel caso in cui non ci fosse la possibilità di subentrare con un servizio di salvataggio.

I lavoratori devono ovviamente essere informati circa tutto ciò che è stato detto in questo articolo, sia per quanto riguarda la valutazione dei rischi sia per quanto riguarda i piani generali di sicurezza: solamente così è possibile scongiurare il rischio di incidenti e di infortuni, in modo tala da salvaguardare la salute dei lavoratori, i quali sono tenuti ad osservare scrupolosamente tutte le normative relative a questo importante settore lavorativo.

Come deve essere una postazione di lavoro

Il tema della sicurezza sul luogo di lavoro è fondamentale, a prescindere da quale sia la mansione e le operazioni svolte dal lavoratore.

Anche per quanto riguarda i lavori di ufficio, è stato stilato un documento dedicato alla tutela della sicurezza sul lavoro nelle varie attività: questo documento si chiama La sicurezza in ufficio ed è stato redatto dall’Ufficio Speciale Prevenzione e Protezione dell’Università degli Studi di Roma “”La Sapienza””. All’interno di questo documento, ci si sofferma sull’importanza di un’adeguata progettazione della postazione di lavoro e di una corretta applicazione del principio di ergonomia, che sta alla base del rapporto tra il lavoratore e la sua prestazione lavorativa.

Una parte essenziale di questo documento tratta di alcuni importanti parametri fisici, tra cui è presente anche l’illuminazione, che gioca un ruolo fondamentale nella tutela del lavoratore. Più nello specifico, nel documento è riportato che la postazione di lavoro deve essere adeguatamente collocata, tenendo in considerazione le lampade e le superfici riflettenti, responsabili di eventuali fenomeni di abbagliamento, i quali potrebbero provocare un affaticamento visivo.

Quella dell’illuminazione è solamente una delle caratteristiche essenziali per la progettazione di una postazione di lavoro ideale; vedremo insieme le altre nel prossimo paragrafo.

Le caratteristiche ideali della postazione di lavoro

Le caratteristiche ideali della postazione di lavoro sono ben specificate all’interno del documento La sicurezza in ufficio e sono tutte studiate per garantire la tutela di sicurezza e salute sul lavoro. Vediamole insieme.

Iniziamo con le caratteristiche del piano di lavoro, cioè la scrivania.

  • Deve presentare una superficie non riflettente e deve essere stabile.
  • Le dimensioni della profondità della scrivania devono essere sufficienti a predisporre un giusto posizionamento di tutti gli strumenti utili al lavoro, che sono lo schermo, la tastiera, il mouse e gli altri vari accessori. Questo aspetto è importante anche per assicurare la giusta distanza visiva tra il lavoratore e lo schermo.
  • L’altezza del piano di lavoro deve essere regolata tra i 70 e gli 80 centimetri, per permettere l’alloggiamento degli arti inferiori del lavoratore.

Altre caratteristiche essenziali riguardano gli altri elementi della postazione di lavoro.

  • Il sedile su cui si lavora deve essere stabile, deve avere un’altezza regolabile rispetto all’altezza del lavoratore e deve essere dotato di un meccanismo girevole che faciliti i vari movimenti.
  • Anche lo schienale deve essere di supporto alla zona dorso-lombare del lavoratore e deve predisporre di un’altezza e di un’inclinazione regolabili.
  • Un poggiapiedi deve essere messo a disposizione di ogni lavoratore, che può decidere liberamente di farne uso, per poter assumere una postura corretta anche degli arti inferiori.

All’interno di questo documento, si trovano anche delle precise indicazioni per quanto riguarda i vari strumenti di lavoro.

  • Iniziamo dallo schermo, che deve avere una buona definizione dell’immagine e che deve essere inclinabile per adeguarsi alle esigenze del lavoratore. Per evitare l’affaticamento della vista, inoltre, non deve assolutamente presentare riflessi o riverberi di luce e deve garantire il corretto contrasto tra i caratteri e lo sfondo.
  • La tastiera deve essere anch’essa regolabile a seconda delle necessità del lavoratore e deve essere separata dallo schermo. Inoltre, sempre al fine di preservare le capacità visive del lavoratore, i tasti devono essere ben leggibili e la superficie deve essere opaca, per evitare eventuali riflessi di luce.
  • Il mouse deve essere posizionato sulla stessa linea della tastiera, in una posizione facilmente raggiungibile dal lavoratore.
  • Anche eventuali documenti cartacei devono essere posti sullo stesso piano dello schermo, della tastiera e del mouse, così da evitare repentini movimenti della testa e degli occhi.

In ultimo, è importante anche tenere in considerazione la distanza tra le scrivanie presenti nell’ufficio, che deve essere di almeno 80 centimetri. Nel caso in cui dietro alla scrivania del lavoratore si trovi un armadio, questa distanza viene aumentata di 30 centimetri, raggiungendo così 110 centimetri totali, che possano consentire di aprire e chiudere le ante dell’armadio in totale sicurezza.

Chi si occupa del controllo della postazione di lavoro

Tutte queste caratteristiche, essenziali per il principio di ergonomia ed essenziali per fare in modo che i lavoratori d’ufficio abbiano modo di prestare il loro servizio in tutta sicurezza, devono essere riportate all’interno dei piani generali di sicurezza.

Ma chi si occupa della stesura dei piani generali di sicurezza? Solitamente è compito del RSPP esterno, cioè del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione. Studiando le varie normative e i vari studi condotti sul tema della sicurezza sul luogo di lavoro, il RSPP deve progettare un piano generale di sicurezza, che metta al primo posto la tutela della salute del lavoratore.

Oltre ad occuparsi di questa stesura, il RSPP ha anche il compito di controllare che le misure e le regole presenti all’interno dei vari piani di sicurezza siano rispettate perfettamente da tutti i lavoratori, allo scopo di preservare la loto sicurezza e la loro salute.

I decreti sulle manovre antincendio

Durante il mese di settembre del 2021, il Governo Italiano ha introdotto tre nuovi decreti in merito alle  manovre anti-incendio, con lo scopo di rinnovare il vecchio Decreto Ministeriale 10 marzo 1998, il quale è stato fino ad ora il punto di riferimento sulle misure di prevenzione e di protezione in caso di incendio sul posto di lavoro.

In questi tre nuovi decreti, che andremo ad analizzare nel dettaglio nel corso del prossimo paragrafo, il Governo Italiano si è concentrato sugli aspetti fondamentali della gestione della sicurezza anti-incendio, che sono i seguenti:

  • gestione della sicurezza anti-incendio in esercizio;
  • gestione della sicurezza anti-incendio in emergenza;
  • idoneità tecnica degli addetti al servizio anti-incendio;
  • corsi di formazione e di aggiornamento anti-incendio per questi addetti al servizio anti-incendio;
  • corsi di formazione e di aggiornamento anti-incendio per i docenti dei corsi anti-incendio.

Nel corso di questo articolo, definiremo quali sono i nuovi decreti sulle manovre anti-incendio e capiremo quali cambiamenti hanno apportato (o apporteranno) questi stessi nuovi decreti.

Quali sono i nuovi decreti sulle manovre anti-incendio

Entriamo nel merito di questi tre nuovi decreti sulle manovre anti-incendio, presentandoli uno per uno e capendo di che cosa trattano nello specifico. Prima di iniziare, però, va detto che questi tre nuovi decreti sono entrati in vigore il 25 settembre 2022 e rappresentano un passo in più rispetto a dove eravamo rimasti in tema di tutela della sicurezza sul lavoro.

Il primo decreto di cui parleremo è il Decreto Ministeriale 1 settembre 2021, che pone la sua attenzione sul controllo degli impianti e dei vari sistemi anti-incendio, utilizzati ovviamente nel contesto lavorativo. Più nello specifico, all’interno di questo Decreto Ministeriale, si fa riferimento alle manutenzioni periodiche da effettuare a tutti i vari sistemi di sicurezza e alle qualifiche e alle certificazioni dei tecnici incaricati di effettuare queste manutenzioni. In ultimo, si danno importanti indicazioni anche per quanto riguarda la sorveglianza di questi stessi sistemi e al registro dei controlli, all’interno del quale vanno riportati tutti i dati relativi alle manutenzioni eseguite.

Il secondo decreto è il Decreto Ministeriale 2 settembre 2021, che riporta come tema principale i criteri della gestione di sicurezza sul lavoro: in questo senso, una particolare attenzione è dedicata alle operazioni da effettuare nel caso in cui si dovesse presentare un’emergenza e, quindi, ai vari aspetti dei piani generali di sicurezza. Un altro aspetto molto importante legato a questo Decreto Ministeriale è quello della formazione e degli aggiornamenti riguardanti le manovre anti-incendio sul luogo di lavoro.

Il terzo e ultimo decreto è il Decreto Ministeriale 3 settembre 2021, che introduce nuovi criteri, in questo caso atti a evitare che un eventuale incendio si verifichi; oltre a questi criteri, ne vengono introdotti anche altri, utili a capire come gestire e limitare le conseguenze di questo eventuale incendio. A questo proposito, è molto importante effettuare tempestivamente una valutazione dei rischi di incendio legati ad un determinato luogo di lavoro.

Quali sono i cambiamenti legati ai nuovi decreti sulle manovre anti-incendio

I cambiamenti legati a questi nuovi decreti sulle manovre anti-incendio sono già stati introdotti in questo articolo, più precisamente nel paragrafo precedente a questo, quando abbiamo descritto ed analizzato le varie novità introdotte proprio da questi decreti. In questo paragrafo, invece, ci dedicheremo ad analizzare più dettagliatamente questi vari cambiamenti.

Il primo di questi cambiamenti che andremo ad analizzare fa parte del Decreto Ministeriale 2 settembre 2021e riguarda la formazione anti-incendio: infatti, con questo decreto, i corsi anti-incendio cambiano nome e vengono ordinati in base al livello di rischio di incendio.

  • Abbiamo l’attività livello 1, che si riferisce a quelle attività in cui il rischio di incendio è relativamente basso.
  • Poi abbiamo l’attività livello 2, in cui troviamo attività con un rischio di incendio più alto.
  • Infine, abbiamo l’attività livello 3, di cui fanno parte tutte quelle attività con il rischio più alto di incendio.

Sempre all’interno del Decreto Ministeriale 2 settembre, si fa riferimento ai corsi di formazione destinati alle varie figure lavorative, ai quali sono state apportate diverse modifiche.

Per quanto riguarda la formazione degli addetti anti-incendio, vengono introdotte diverse novità, tra cui:

  • l’obbligo di aggiornamento ogni cinque anni;
  • lo svolgimento di una prova pratica, a prescindere dal livello dell’attività;
  • la modifica dei programmi dei corsi di formazione e di aggiornamento, che presentano un nuovo nome a seconda del livello di attività a cui sono rivolti.

In ultimo, analizziamo i cambiamenti che riguardano la formazione dei docenti anti-incendio, i quali devono seguire corsi di formazione, atti a formare il resto dei lavoratori. Questi corsi per i docenti sono tenuti dal Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e hanno termine solo con una prova finale, che include un test scritto e un test orale. I corsi per i docenti, inoltre, si dividono in tre categorie.

  • Corso di tipo A: questo corso è utile ad ottenere l’abilitazione per svolgere i moduli teorici e pratici previsti per la formazione degli addetti anti-incendio.
  • Corso di tipo B: questo corso è studiato per abilitare i docenti alla formazione esclusivamente teorica degli addetti anti-incendio.
  • Corso di tipo C: questo corso, invece, abilita i docenti alla formazione pratica degli addetti anti-incendio.

Come diventare online un esperto sulla formazione aziendale

La formazione aziendale ha un ruolo sempre più preponderante per quanto riguarda le tematiche che ruotano intorno al lavoro e alla sicurezza sul posto di lavoro: per questo motivo, molti professionisti si chiedono come diventare un esperto della formazione aziendale online, in maniera tale da essere utile a molti colleghi e anche ai propri collaboratori o ai propri dipendenti.

Per ricoprire il ruolo di esperto sulla formazione aziendale, è necessario prima di tutto ricevere una formazione, attraverso alcuni corsi da frequentare, sulla base di conoscenze pregresse e di cui chi vuole diventare un esperto sulla formazione aziendale deve essere già in possesso.

Ma chi è l’esperto sulla formazione aziendale? E cosa fa? Lo scopriremo nel dettaglio all’interno del prossimo paragrafo, che verrà seguito da un ulteriore approfondimento su come specializzarsi in queste determinate tematiche, specializzazione che, come vedremo, si può conseguire anche online.

Chi è l’esperto sulla formazione aziendale e quali sono i suoi ruoli

Quella dell’esperto sulla formazione aziendale è una professione molto importante e rappresenta una figura fondamentale all’interno di qualunque azienda. Per quanto concerne i suoi ruoli, l’esperto sulla formazione aziendale svolge diverse funzioni all’interno di una azienda: tra queste abbiamo lo sviluppo e l’innovazione di vecchie e di nuove competenze tra i dipendenti di tutti i settori dell’azienda.

Un esempio di esperto sulla formazione aziendale è senza dubbio la figura del Preposto Torino alla Sicurezza, il quale ha il ruolo di organizzare le varie attività lavorative e di garantirne e di verificarne la corretta esecuzione da parte dei lavoratori dipendenti.

Quella del Preposto alla Sicurezza, però, è solamente una delle figure e uno dei ruoli assimilabili all’esperto sulla formazione aziendale. Tra gli altri compiti di un esperto sulla formazione aziendale abbiamo:

  • l’analisi delle eventuali esigenze e degli eventuali bisogni di formazione, sia dei lavoratori dipendenti presi singolarmente sia dei lavoratori dipendenti come unità di squadra;
  • la soddisfazione di queste esigenze e di questi bisogni di formazione, per cui è necessario pianificare i vari interventi e i vari corsi di formazione, che possono essere effettuati sia in presenza sia a distanza;
  • questi interventi e questi corsi di formazione comportano, ovviamente, dei costi e un esperto sulla formazione aziendale deve occuparsi anche del reperimento dei fondi per il finanziamento di queste attività formative;
  • inoltre, questi interventi e questi corsi necessitano anche di esperti in questo settore, che vanno coinvolti da un esperto sulla formazione aziendale per eseguire queste diverse attività formative;
  • con questi esperti del settore, vanno intrapresi e mantenuti rapporti di collaborazione, anch’essi curati da un esperto sulla formazione aziendale;
  • l’esperto sulla formazione aziendale, inoltre, può occuparsi in prima persona dell’erogazione di questi interventi e di questi corsi di formazione;
  • in ultimo, questi interventi e questi corsi di formazione necessitano di un monitoraggio, attraverso cui è possibile analizzare e valutare i risultati, sia a livello del dipendente singolo sia a livello dell’intera squadra di lavoro.

Questi sono solamente alcuni dei compiti svolti da un esperto sulla formazione aziendale, il quale è un ruolo specifico molto importante, che necessita di determinati requisiti. Capiamo insieme quali sono questi requisiti nel prossimo paragrafo.

I requisiti minimi per diventare un esperto sulla formazione aziendale online

Chi desidera diventare esperto sulla formazione aziendale, un ruolo che trova occupazione in diversi settori, tra cui le aziende e le società, ma che può trovare occupazione anche in qualità di libero professionista, necessita di sviluppare diverse competenze e necessita di presentare diversi requisiti.

Prima di elencare questi requisiti e queste competenze, è necessario fare una doverosa premessa: si può diventare un esperto sulla formazione aziendale anche online, seguendo e frequentando diversi corsi online a questo scopo. Tra gli altri requisiti minimi abbiamo, inoltre: un diploma di laurea e la conoscenza perfetta della lingua inglese.

Per quanto riguarda le altre competenze, un esperto sulla formazione aziendale, visti anche i suoi compiti, deve essere un grande ascoltatore e un altrettanto grande comunicatore; inoltre, deve conoscere perfettamente anche le modalità per le richieste delle varie tipologie di finanziamenti, utili per attivare i vari corsi di formazione.

Essenziale, infine, è che un esperto sulla formazione aziendale sia preparato per quanto riguarda i processi di apprendimento e per quanto riguarda il funzionamento delle varie aziende e delle varie organizzazioni lavorative (con un occhio di riguardo per il tema della sicurezza sul lavoro).

In altre parole, le competenze e i requisiti minimi richiesti ad un esperto sulla formazione aziendale non sono altro che le capacità implicite rispetto alle mansioni e ai compiti che abbiamo elencato nel paragrafo precedente: oltre a quello che già abbiamo detto, deve essere, dunque, anche in grado di monitorare e di verificare i vari interventi di formazione, al fine di migliorare (se necessario) la gestione della formazione aziendale da tutti i punti di vista, quindi sia dal suo sia da quello dei lavoratori.